Dante e Shakespeare |
|
|
|
Shakespeare è un altro tipo di mente: più trasgressivo nella vita (molto di più, per quello che ne sappiamo), ma soprattutto molto più moderno, nel pensiero, attuale in tutto e per tutto. A me dispiace pensare che i sonetti sono probabilmente dedicati a un uomo. Non per moralismo, ma per impossibilità di identificazione, provo lo stesso disagio pensando che la poesia erotica forse più bella e più limpida di tutti i tempi, La Casada Infiel di Garcia Lorca, è una finzione ispirata a un uomo da un altro uomo e non da una ragazza gitana come descritto nei versi. Shakespeare ha un pentimento esplicito e prende le distanze dai piaceri sessuali nel sonetto 129 (Th’expence of spirit in a waste of shame), terribile rifiuto pessimistico della lussuria come male assoluto (ma quale grado e tipo di lussuria?) e dunque un ritorno morale o, a seconda del punto di vista, un cedimento moralistico (Nessuno sa bene / come evitare il paradiso che conduce gli uomini a questo inferno), ma è uno spirito duttile, mosso, problematico, aperto, non manicheo. Shakespeare è un uomo di oggi, che tiene conto della psicanalisi senza aver conosciuto Freud. Mentre Dante, quanto a filosofia, ha tutta la pesantezza e i limiti intellettuali dell’uomo medioevale, di quel Medio Evo proprio dell’Immaginario comune. Se prescindiamo dalla dottrina e isoliamo le qualità letterarie, i valori poetici, Shakespeare è enorme, il più grande di tutti, ma anche Dante è in gara tra i migliori di ogni tempo e luogo: se gli concediamo qualche handicap giustificato dall’epoca, è un vero godimento leggerlo.
|
|
|
|
Francesco Dallera |