Dante e Shakespeare

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Dante è un genio: pensiero profondo, immagini indimenticabili, grande linguaggio, facilità di versi, musicalità naturale, stile altissimo. Ma, pur con il beneficio dell’epoca – siamo ancora nel Medio Evo – bisogna ammettere che è un po’ bigotto. Era facile essere bigotti nel Medio Evo, ma Chaucer non lo era e nemmeno Boccaccio, se restiamo fra i letterati. Spesso il confine fra il super-religioso e il bigotto è tenue. Dante ha, nella sua profonda religiosità, tutto il manicheismo che a uno spirito moderno dispiace: è intollerante. Anche Bach forse era bigotto, ma la musica lo fa capire meno della letteratura. La musica è un’entità astratta, l’ispirazione e i veri motivi che la fanno scaturire restano ipotetici. All’ascoltatore importa l’emozione che procura. Sulla partecipazione umana, per Dante, prevale il senso della implacabile giustizia divina:un Dio rigido, che va accettato senza discutere, anche quando dispone per imperscrutabili ragioni sofferenze e crudeltà, sulla terra e nell’aldilà. Paolo e Francesca lo commuovono, ma devono essere nell’Inferno. Esiste, per Dante, il Limbo, invenzione stupida e orribile escogitata da menti contorte. Non lo sfiora il dubbio, anche se soffre per le anime nobili che vi sono ospitate in eterno senza responsabilità – non per altro rio – (Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi). Tutto il dramma di tanti personaggi è espresso con palpabile sensibilità, ma è fuori discussione che le loro colpe – a volte leggere ai nostri occhi – non possono ricevere perdono.

Shakespeare è un altro tipo di mente: più trasgressivo nella vita (molto di più, per quello che ne sappiamo), ma soprattutto molto più moderno, nel pensiero, attuale in tutto e per tutto. A me dispiace pensare che i sonetti sono probabilmente dedicati a un uomo. Non per moralismo, ma per impossibilità di identificazione, provo lo stesso disagio pensando che la poesia erotica forse più bella e più limpida di tutti i tempi, La Casada Infiel di Garcia Lorca, è una finzione ispirata a un uomo da un altro uomo e non da una ragazza gitana come descritto nei versi. Shakespeare ha un pentimento esplicito e prende le distanze dai piaceri sessuali nel sonetto 129 (Th’expence of spirit in a waste of shame), terribile rifiuto pessimistico della lussuria come male assoluto (ma quale grado e tipo di lussuria?) e dunque un ritorno morale o, a seconda del punto di vista, un cedimento moralistico (Nessuno sa bene / come evitare il paradiso che conduce gli uomini a questo inferno), ma è uno spirito duttile, mosso, problematico, aperto, non manicheo. Shakespeare è un uomo di oggi, che tiene conto della psicanalisi senza aver conosciuto Freud. Mentre Dante, quanto a filosofia, ha tutta la pesantezza e i limiti intellettuali dell’uomo medioevale, di quel Medio Evo proprio dell’Immaginario comune. Se prescindiamo dalla dottrina e isoliamo le qualità letterarie, i valori poetici, Shakespeare è enorme, il più grande di tutti, ma anche Dante è in gara tra i migliori di ogni tempo e luogo: se gli concediamo qualche handicap giustificato dall’epoca, è un vero godimento leggerlo.

 


Francesco Dallera

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