Glenn Gould |
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Ho tutti i libri di interviste e-biografie sul pianista (il più noto e denso di scritti critici di Gould stesso è L’ala del turbine intelligente (Adelphi), e, bellissimo e pieno di fotografie, è No, non sono un eccentrico (EDT MUSICA); un personaggio assolutamente eccezionale, per talento, originalità e capacità di messaggio musicale. Negli scritti critici, di lessico e fraseggio eleganti e personali, è intelligentissimo, innovatore e spregiudicato: sono saggi, per lo più in forma di interviste, di tale profondità e spessore culturale, che gli scritti critici di altri musicologi sembreranno, per lo più, scontati, banali e inutilmente verbosi (se escludiamo i Dialoghi sulla musica di Furtwangler, mistici, ancora tessuti di romanticismo tedesco, ma di alta levatura). Le sue conversazioni su Romanticismo, Classicismo, Rinascimento, Barocco, le considerazioni su Berg, Schönberg, Webern, Mahler, Boulez, sul Jazz e sulla musica commerciale, rivelano una padronanza totale della storia, un’erudizione disinvolta e non pesante, un’acutezza, una sensibilità (non solo musicale) proprie di una qualità intellettuale e spirituale superiore, per di più espressi con stile e linguaggio veramente brillanti. Un talento assoluto è anche nelle poche composizioni, improntate al suo amore per la fuga e il contrappunto (si riprometteva di spostare le energie sulla composizione dopo i cinquanta anni, ma la morte lo prese proprio a quella età). Commenta con apprezzamenti anche negativi Mozart e Beethoven, e si capisce che può permettersi di coglierli in fallo dove sono difettosi, perché il suo talento musicale è di uguale livello. Rimprovera a Mozart di non sviluppare bene i dettagli di un’idea, cogliendovi un germe di superficialità, senza l’enfasi di chi dice "Il re è nudo", ma con la disinvoltura di un amico pari grado, e non gradisce di Beethoven la Quinta, il Concerto per violino e, meno che mai, l'Appassionata. Bellissimo, in un pezzo video registrato, il suo sfrontato proporre e dimostrare come modificherebbe il rilievo armonico di una sonata di Mozart, mettendovi più contrappunto. Il contrappunto era il suo chiodo fisso: se un autore mette contrappunto nella composizione, è perdonato anche se non eccelle, se ignora il contrappunto, si prende le sue nonostante si chiami Mozart. Per questo pregiudizio motivato, ha inciso pochissimo del repertorio romantico, a parte Beethoven, la cui parte pianistica ha registrato pressoché al completo. Certe interpretazioni, come quella dell’Appassionata e della Chiaro di luna di Beethoven o della K 330 di Mozart, hanno suscitato scandalo, per i tempi del tutto insoliti, ma sono certamente stimolanti, innovative, e, soprattutto, imposte con tale padronanza e coerenza stilistica, da lasciare comunque ammirati. Se è consentito discutere e mostrarsi in disaccordo sul suo modo di leggere Mozart, Beethoven, o Brahms, tutti, credo, dovrebbero ammettere che è inarrivabile nelle esecuzioni di Bach. Tutto il Bach per tastiera, quando lo si è ascoltato da Glenn Gould, è un'altra cosa e le sue interpretazioni diventano insostituibili. Penso che solo dal nuovo continente, libero dagli orpelli accademici, poteva venire una simile ventata di novità interpretativa, ispirata però da un amore, da un’affinità, da una comprensione profonda dello spirito musicale di Bach. Non capisco chi nega che Gould sia stato un genio. Genio interpretativo, ma prima di tutto genio musicale. Come avrei voluto assistere ai suoi concerti (abbandona l’attività concertistica a trenta anni, con giustificazioni che forse nascondono un eccessivo stress da pubblico, dedicandosi a incisioni e registrazioni audio-video di esecuzioni musicali, conversazioni animate, interviste, scenette umoristiche in studio su argomenti di musicologia). Immagino cosa possano essere stati i concerti dal vivo, vista la tensione e l’entusiasmo che trasmettono registrati. Solo Furtwangler, secondo me, ha un equivalente importanza come interprete fra quelli che possiamo sentire su disco; cioè, è capace di far intendere in modo radicalmente diverso, nuovo e più ricco l’universo di un autore o una composizione musicale, aggiungendo informazioni personali alla comprensione della musica. Nelle esecuzioni di Glenn Gould la meravigliosa partecipazione emotiva e la lettura intellettuale si fondono con una tecnica prodigiosa e una particolare costanza nel ritmo; la perfezione del controllo dei tasti, soprattutto evidente ad alta velocità, è stupefacente e aggiunge pathos. Dopo aver ascoltato un pezzo veloce suonato da lui, l’ascolto di un altro pianista, anche grande, fa un’impressione di esecuzione scomposta, poco controllata, quasi dilettantesca, magari sensibile ma tecnicamente carente. Impressionante ed entusiasmante, proprio per la tecnica, la Fantasia di Sweelink, che Gould ha reso famosa e trasformata in un gioiello, nella progressiva circolarità di una tasteggiatura da superuomo, sempre più veloce fino a un effetto di rotonda perfezione. Dice apertamente che sente la musica impostata sul basso, come se il perno fosse il pedale dell’organo. La sua mano sinistra, fantastica, è sempre in primo piano, ha più vigore che per tutti gli altri pianisti. Una volta, giovanissimo, alle Bahamas, mentre si esercitava in un night-club – unico posto dove fosse riuscito a trovare un pianoforte – un jazzista nero, entrato ad ascoltarlo, esclamò: "Ragazzo, hai una gran mano sinistra, lo sai?" "Sono mancino" rispose Glenn. Fra stravaganza spinta e irresistibile simpatia, col sottofondo di genialità sconfinata, Gould è stato, inevitabilmente, personaggio discusso, amato e odiato artisticamente: amato, mi sembra di capire, dai più spregiudicati e a loro volta geniali o aspiranti geniali, odiato e incompreso dai filistei conservatori, amanti dell’ordine costituito, della tradizione consolidata, che vedono il genio con sospetto e si arrestano alle sue piccole manie per giudicarlo strambo: autodidatta dopo i diciotto anni, amante degli animali tanto da avere in casa, da bambino, fra cani e gatti, una puzzola non deodorata, portava sempre con sé una sua seggiolina pieghevole, perché suonava più basso di venti centimetri rispetto al normale; calzava a volte guanti di lana con le dita scoperte per le prove sul piano, perché sopportava male il freddo; nuotava, per lo stesso motivo, con guanti lunghi di caucciù; quando non aveva la sedia personale a portata di mano e provava un pianoforte, si inginocchiava per terra per trovare la giusta altezza dalla tastiera. In quasi tutte le esecuzioni, si accompagna canticchiando (e si sente anche nelle incisioni). Diceva, un po’ gigione, che non poteva farne a meno. Ebbene, la sua voce baritonale, anziché disturbare, aggiunge fascino a Bach, lo umanizza. Cercava pianoforti dal suono secco, usò un Chickering, un Baldwin, due Steinway, su uno dei quali fece la maggioranza delle incisioni, poi – sfasciatosi durante un trasporto lo Steinway preferito – dopo aver vagato per anni alla caccia di un esemplare col suono vicino all’ideale, acquistò uno Yamaha d’occasione nella 56° Strada di Manhattan (strumento su cui registrò gli ultimi due-tre dischi). Dalle trasmissioni radiofoniche e dalle interviste video, cui si concesse abbondantemente, appare brillante, spiritoso, velocissimo di mente, sicurissimo e contagioso delle sue idee e dei suoi gusti. E, naturalmente, è travolgente quando, dalla parola, passa a esemplificare sulla tastiera. Personalità di un tipo descritto in psichiatria che sfiora la patologia: vivacissima, frenetica, incline a battute di spirito a ripetizione; connotata da facilità alle imitazioni ironiche, parlata veloce, propensione a strumenti musicali percussivi (!!!). Certo il più straordinario, meraviglioso, intelligente esempio del genere. Della sua vita sentimentale e sessuale non si sa nulla, i biografi tacciono; alla domanda: "Ha una fidanzata?" rispondeva laconicamente "No". Faceva vita solitaria e molto notturna, sentiva dischi ma non andava a concerti o incontri pubblici, vedeva pochissimi amici. Eppure, nei filmati, appare vivace, spiritoso, di aspetto fisico snello e gradevole, a suo agio davanti alle telecamere, pronto nelle risposte e nelle battute, socievole e simpatico, accattivante, addirittura un po’esibizionista. Amava la televisione, la radio, gli studi di registrazione. Abbandonati a trenta anni, come da tempo programmato, i concerti, che pure gli avevano puntualmente assicurato un successo strepitoso (memorabili quelli in Russia, ove fu particolarmente apprezzato da Sviatoslav Richter, di cui divenne amico), non ne fu più tentato e mantenne la parola di dedicarsi solo alla musica registrata e, se mai, alla composizione. I suoi preferiti erano Bach, gli inglesi elisabettiani (Bird, Gibbons), Beethoven (con qualche riserva), Schönberg, Hindemith e Richard Strauss, che considerava il maggiore del Novecento (con particolare amore per il Capriccio, secondo lui tra i più ammirevoli pezzi di musica di tutti i tempi). Con una simile presentazione, ascoltandolo a lungo, mi sono convinto: ora Richard Strauss è anche tra i miei preferiti, mi sono volentieri fatto plagiare. Costretto a scegliere qualche disco per l’isola deserta, proprio nel repertorio di Gould pescherei prima di tutto: porterei la Suite francese N° 1, che mi piace particolarmente, poi le sue Goldberg, prima e ultima versione (quella veloce e quella lenta, ma ve ne sono altre incise dal vivo nel periodo intermedio), e poi ancora una scelta del Clavicembalo ben temperato (il suo piano Steinway in luogo del clavicembalo, si intende). Solo a questo punto, dopo aver messo in valigia le sue incisioni cui sono più affezionato, considererei, se c’è posto, dischi di altri, tentando la difficile graduatoria fra le tante bellissime musiche, vecchie, nuove, classiche o leggere, e gli innumerevoli interpreti che, sull’isola deserta, possono allietare.
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Francesco Dallera |