BOSONI ( quando muore un poeta .. ) |
Quando
muore un poeta, si spegne una stella (Shakespeare).
Bosoni era certamente, come
pittore, un poeta. La sua pittura sembra ispirata al Seicento, per la scelta
quasi esclusiva delle nature morte come soggetto e il rispetto delle forme
convenzionali. Ma è, per la qualità straordinaria, senza tempo e fuori da ogni
moda. Del resto, Bosoni era conoscitore e osservatore attento dell’arte
recente e, ad occhi appena esercitati, i suoi quadri rivelano, è vero,
ammirazione per i maestri antichi, ma,
insieme, consapevolezza e acquisizione della pittura moderna e contemporanea.
Nelle sue opere, specialmente le ultime, dietro la struttura convenzionale,
tradizionale, si riconoscono tratti di forte modernità sostanziale,
un’essenzialità elegante filtrata attraverso Chardin, Morandi e le geometrie
da ingegnere di Juan Gris.
Il suo pittore preferito era Piero della Francesca, per il quale aveva un’ammirazione sconfinata e che andava a vedere, oltre che a Brera, a Urbino e ad Arezzo, con periodici viaggi in treno. Era frequentatore assiduo di musei e mostre, purchè fossero raggiungibili in treno: infatti non guidava l’auto e non prendeva l’aereo, in una specie di paura e fuga da alcuni aspetti del mondo d’oggi.
Gli piacevano Modigliani, Morandi,
Picasso e Arturo Tosi. Ammirava il disegno ben costruito e la pittura tonale.
Non lo interessavano gli espressionisti, lontani dal suo universo artistico.
La pittura tonale era il suo chiodo fisso, il suo punto d’arrivo e la sua
debolezza. Se un pittore era “tonale”, gli perdonava molti difetti e lo
accettava anche se scarso; se non era “tonale”, lo guardava prevenuto,
avanzava dubbi, faceva il difficile.
Come uomo era schivo, riservato,
asciutto, quasi scontroso; fin troppo severo nella morale e nei giudizi. Chi
lo conosceva bene sa che, dietro questa facciata difficile, era un uomo semplice
e buono, limpido e diretto, pieno di sentimento e privo di sentimentalismo,
scevro da ogni retorica e senza illusioni, che aveva nella pittura la
proiezione dei suoi ideali, l’orizzonte roseo della sua vita, la fuga dalle
nevrosi e dalle angosce di cui, più o meno, tutti soffriamo, ma anche la
realizzazione orgogliosa di talento e di sensibilità che sapeva grandi.
Non dimostrava mai entusiasmo di
fronte ai complimenti, ma nemmeno si schermiva. Lo vedevo impercettibilmente
compiaciuto quando un suo dipinto era valorizzato da una cornice adatta e di
valore, magari antica; allora arrivava a colorare personalmente il
passepartout nella tonalità che armonizzava meglio, privilegio di cui ho
potuto più volte fruire. Perfezionista, cancellava con lo sverniciatore
quadri che gli erano costati mesi di lavoro e che sembravano splendidi a
chiunque, perché non raggiungevano l’armonia tonale desiderata. (Non è questo
un aneddoto a scopo di esaltazione, ma
assoluta verità.)
Come artista, per le leggi perverse del mercato e della critica di oggi, certamente non potrà avere il successo e l’ampiezza di risonanza che merita. Ma chi lo apprezza non lo dimenticherà né come artista né come uomo e, davanti ai suoi dipinti bellissimi, con la loro formidabile magia della luce e l’indefinibile atmosfera, proverà sempre un moto di sincera emozione.
Francesco Dallera 2011 |