Casanova

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Mi piacciono i pellegrinaggi con pretesto culturale. Estate del ’98: stimolato da un elzeviro di Piero Chiara, sono stato a Duchov (Dux, nel Settecento) dove Casanova ha passato gli ultimi anni – tredici – ospite dei Waldstein, e ha scritto le memorie, l’Histoire du ma vie. Sulla strada fra Praga e Dresda, appena prima di passare in Germania (località Teplice), mentre ragazze giovanissime, tenendosi per mano, seminude, ai lati della via offrono sorridendo ai turisti le loro grazie a piccolo prezzo, una deviazione a sinistra (ovest) porta in pochi chilometri a questo paese oggi squallido, con un palazzo, non proprio un castello, ben restaurato, in un contesto desolato, come del resto è, fuori dalle grandi città, quasi tutta l’Europa che è stata comunista, dove tracce di antichi splendori sono commisti a povertà, degrado, indifferenza estetica. C’era una guida locale, che parlava il ceco e un po’ di tedesco, e, seguito da me, mia moglie, le mie tre figlie e quattro altri visitatori (abbiamo aspettato mezz’ora a iniziare il giro per lasciarne arrivare un numero che il cicerone considerava sufficiente) abbiamo percorso le stanze "preparate", con mobili di un certo pregio, qualcuno di artigianato settecentesco boemo, qualcuno olandese con gli intarsi floreali, qualcuno biedermeyer, nessuno autentico del castello, ma prestati da un museo di Praga, oltre a stampe d’epoca su luoghi o argomenti trattati da Casanova. Le stanze assegnate a Casanova erano due e nella prima, rivolta verso una finestra da cui si domina il parco, c’è il piccolo tesoro del castello, una poltrona con targhetta su cui è scritto che vi morì il grande personaggio, nel 1798, a 73 anni. È stata trovata in un altro castello, dimenticata, ma con la preziosa targhetta. È una sobria poltrona Luigi XV laccata bianca e oro. C’è poi una biblioteca che, da una porta segreta, si affaccia – colpo di teatro kitch – su un manichino di Casanova chino alla scrivania, con la luce fioca e vistosamente tremolante di una candela elettrica.

La poltrona, scovata da un casanovista, è il solo arredo autentico del castello di Duchov.

Casanova dormiva forse sulla poltrona perché, ascitico, non poteva coricarsi per il gonfiore dell’addome. La tomba non è stata trovata, sebbene si sappia che fu sepolto nel cimitero della chiesa di S. Barbara, vicino al palazzo.  

Le memorie di Casanova sono un affresco straordinario del Settecento europeo, di quello delle corti come di quello del popolo. La disinvoltura morale è associata a un’obbiettività e a un’introspezione psicologica che stupiscono e la figura che ne esce è, a mio avviso, molto diversa da quella presentata da Fellini nel suo film (godibile come opera in sé, ma infedele al testo dell’autobiografia e ingiusto nei confronti di Casanova nel giudizio così negativo). Se fosse stato dato alle stampe subito, il memoriale-romanzo avrebbe abbreviato lo sviluppo della letteratura: modernissimo nello stile agile, è un saggio di cronaca spregiudicato, ricco di spirito di osservazione e di umorismo, senza retorica. È anche una dimostrazione che una società è complessa, polimorfa e, in qualunque epoca, diversi osservatori annotano le sfaccettature che il loro occhio e la loro attenzione vedono prevalenti: l’immagine di un tempo e di una società può essere diversissima a seconda di chi li descrive. La società più o meno dello stesso periodo descritta da Goethe appare severa e moralmente rigida, quella, anzi "quelle" di Casanova, (perché conobbe da vicino e con pari disinvoltura tutte le classi e i ceti), più libere, ma anche superficiali, frivole e libertine.

Su Giacomo Casanova si è sviluppato un vero culto del personaggio e un fervore di studi tuttora attivissimo. Quasi tutti i fatti descritti nel suo libro sono stati confermati da pignoli appassionati che hanno setacciato archivi e biblioteche. A Venezia, prenotando, si possono visitare i luoghi casanoviani in un tour organizzato.

Le memorie sono scritte in francese: l’autore pensava a una circolazione internazionale, con intuito moderno. Il francese di Casanova era piuttosto ruvido ma vitale e svelto, lontano da ogni pesantezza accademica. La lingua era irrequieta come la persona e le sue vicende.

Dopo il 1820 Brockaus, l’editore tedesco che acquistò i manoscritti dagli eredi (parenti di una sorella di Giacomo), pubblicò un’edizione "purgata", tradotta in tedesco e ritradotta in un francese più addomesticato e borghese, per stile e contenuto (con molti tagli). Da queste versioni furono fatte traduzioni, anche in italiano. Ho una versione di queste, che ho gustato da ragazzo (traduzione di una traduzione: edizione grossolana ma simpatica, sebbene difforme e censurata rispetto al testo originale conosciuto dopo). Poi il manoscritto rimase nella cassaforte di Brockaus fino al 1960, quando fu ceduto per la pubblicazione finalmente integrale, con operazione editoriale franco-tedesca. In italiano fu pubblicato da Mondadori nel 1964, in una traduzione facilitata – dice Piero Chiara – perché, pur scritto in francese, il testo era stato pensato dall’autore piuttosto in italiano o in veneto; e infine ne I Meridiani Mondatori -1983 -, ancora rivisto a cura di Chiara e Roncoroni (bella edizione critica con ricchissimo corredo di note, indici, spiegazioni, commenti). È una eccezionale lettura; se qualcuno non la conosce o ha pregiudizi sulla figura di Casanova, sempre presentato soltanto come un avventuriero donnaiolo, giocatore e spia, si ricrederà e apprezzerà invece una mente di grande spessore e uno scrittore brillante, per quanto dichiaratamente incline ai piaceri e agli aspetti esteriori della vita.

Sono molti gli uomini di cultura diventati casanovisti appassionati: Salvatore Di Giacomo (il poeta napoletano, "Nu pianefforte e’ notte/ sona, lontanamente…") in una conversazione riferita da Benedetto Croce (che, di mentalità più filistea, ne provò meraviglia), pretendeva, al termine della Grande Guerra, che nel trattato di pace l’Italia pretendesse dalla Germania la restituzione del manoscritto, come una preda da reclamare, non ultimo argomento sul tavolo delle trattative.

Uno studioso americano – John Rivers Childs – editò dal 1958 al 1981 una rivista annuale, Casanova Gleanings (in inglese, a conferma che cercando l’internazionalità della lingua Casanova era nel giusto). Dall’84 fu pubblicata L’intermediaire casanovienne, in francese. C’è in rete un sito di studi casanoviani che prega di inviare nuove acquisizioni sull’argomento.

 


Francesco Dallera

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