Cosmetici

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"Cosmesi", "cosmetica" indicano il complesso di mezzi per migliorare l'aspetto fisico. Cosmetologia è la scienza che se ne occupa. L'uso dei termini è, nella pratica, ambiguo, applicandosi sia a situazioni non patologiche che patologiche. A causa di questo carattere confuso, pseudo-esperti approfittano dell'equivoco per invadere un territorio che non è il loro: complice una carente legislazione -- con il sottile sottinteso di un’efficacia pari a quella dei farmaci – spacciano preparati che del farmaco non hanno né risultati, né verifiche degli effetti collaterali. Una truffa per il consumatore. Prodotti che richiamano nel nome l'idea di crescita dei capelli, reclamizzati appunto come stimolatori della crescita su quotidiani e rotocalchi in spazi di "pubblicità redazionale"(finti articoli scientifici in riquadri promozionali a pagamento), non hanno nessun titolo per essere proposti con quell’indicazione e si appoggiano sulla buona fede dei consumatori e sull'assenza di chi – i consumatori – li difenda. Vengono in mente i personaggi tramandati da film western e da fumetti del passato, imbonitori che vendevano elisir e lozioni davanti ai saloon e finivano cosparsi di pece e impiumati perché la loro mercanzia non funzionava. Adesso non si impiuma più nessuno: con un buon ufficio legale si resta impuniti, anzi non si è nemmeno perseguiti. Questi prodotti, che richiamano nel nome (che è già comico), senza pudore, la crescita, ricordano uno scherzo combinato qualche anno fa alla comunità scientifica su una rivista qualificata. Un’ equipe di ricercatori al di sopra di ogni sospetto affermava di aver scoperto nel sudore ascellare un ferormone, denominato "ascellina", potente stimolante sessuale; il tutto, inventato ma sostenuto con impeccabile metodologia, fu creduto e suscitò domande e dibattiti, finché gli stessi ideatori non lo svelarono per quello che era: uno scherzo, un divertimento da scienziati. Temo, invece, che i venditori e propagandisti di questi prodotti illusori non abbiano nessuna intenzione di rivelare che si tratta di una redditizia burla.


La pubblicità fa parte integrante del nostro mondo, lo rende meno squallido con le immagini illusorie (ma che cosa sarebbe la vita senza illusioni?) di donne affascinanti, belle case lussuose, uomini eleganti e sicuri. Ė inoltre il maggior committente, forse, della creatività artistica attuale. Come le automobili sono le cattedrali gotiche del nostro tempo, l'industria, attraverso il bisogno di pubblicità invasiva sui mezzi d'informazione, è il moderno mecenate: l'equivalente nel passato erano lo spirito religioso nel Medio Evo, i Papi e i Signori nel Rinascimento, i Principi e i Sovrani nel Settecento. Gli spot, i video e le fotografie sui settimanali e sui mensili patinati sono forse la più viva espressione degli artisti visivi di oggi, il corrispondente delle pale d'altare o delle Wunderkammer, la provocazione ispiratrice più autentica, più concreta, perché coniuga la forza economica al senso del contemporaneo.

Tutti siamo sensibili alla pubblicità, la subiamo come una parte del nostro universo, anche se, per volontà critica o per snobismo, ci ribelliamo a parole. A me piace lucidarmi le scarpe. Se fossi obbligato a scegliere un lavoro umile, se, come nella Cina di Mao, guardie rosse imponessero a intellettuali, professionisti e sedentari di ogni genere di zappare la terra o qualche cosa di analogo, se, come il protagonista del romanzo di Kundera L'insostenibile leggerezza dell'essere (medico), fossi costretto a un'attività manuale (lui lavava i vetri delle case e non gli dispiaceva affatto), sceglierei di essere lustrascarpe. Per questa piccola mania ho sempre scelto con cura i lucidi; con quale criterio? Preferisco i Meltonian, perché ho sempre visto questa marca associata alle calzature di lusso nei negozi inglesi e, per le scarpe e per altro, sono anglofilo; poi, perché i lustrascarpe americani, che espongono i cartelli con i prezzi accanto ai trespoli su cui siedono i clienti, fanno pagare almeno un dollaro di supplemento per l'uso del Meltonian. Come seconda scelta, mi viene in mente il Lord, marca italiana ma con nome inglese che evoca un'idea di eleganza e signorilità e, se gratto nella memoria, trovo una pubblicità del lucido Lord con un signore maturo che calza scarpe impunturate sulle riviste di quando ero adolescente, un vero lord che somigliava a David Niven o al pilota d'automobili (anni sessanta) Graham Hill. Se non trovassi nessuno di questi, ricorrerei al lucido Brill, per la memoria che ho dalla prima infanzia di manifesti in stile "Novecento", con un ometto tutto vestito di nero, un cappello a cilindro e scarpe che emanavano raggi. Insomma, per un meccanismo di influsso squisitamente pubblicitario.
Una certa pubblicità è innocua e ancorata a un principio di realtà: magari esagera le caratteristiche del prodotto, ma non si discosta dall'attesa verosimile di efficacia. Sono tali, dunque utili come suggerimento indicativo, le pubblicità riferite a creme per pelle troppo grassa o troppo secca, o per capelli con forfora: pur condizionate da indicazioni generiche, rispecchiano un effettivo traguardo della ricerca chimica e una possibilità migliorativa. Una parte della pubblicità è, però, completamente menzognera, basata su argomenti privi di fondamento, equivalente di una truffa; per esempio quella che si riferisce alla cellulite o alle smagliature o, in termini generici e approssimativi, alla caduta di capelli. Si aggira la difficoltà che gli Organi ufficiali della Sanità oppongono ad accettare un farmaco, sfuggendo alle maglie di ogni etica o controllo con lo stratagemma del registrare come cosmetici, cioè non-farmaci, sostanze di cui poi si dichiarano proprietà più magiche di qualunque farmaco.


Mi ha sempre colpito il ripetersi, nelle pubblicità di cosmetici, di riferimenti al pregio di prodotti vegetali o vagamente "naturali" ("dal cactus una nuova arma contro l'obesità"), o, qualche volta, delle alghe marine. Le asserzioni sono arbitrarie, in armonia con il successo dell'erboristeria, un tremendo business parallelo che sembra negare tutto il percorso della scienza negli ultimi due secoli, dopo che il metodo galileiano si è affermato imponendo la verifica sperimentale di ogni credenza tradizionale. Ė vero che nelle piante esistono sostanze che sono state la base della farmacologia attuale, ma ben altra valenza ha isolare un principio attivo che vi è contenuto, dosarlo, studiarne azioni ed effetti collaterali e stabilirne la posologia ideale in milligrammi per ciascuna indicazione. Una cosa è un grossolano estratto dall'azione incerta e variabile volta per volta, ben diversa cosa una molecola identificata e studiata. Questa esagerata fiducia nella natura, commista al rifiuto del progresso e al ritorno a un empirismo primitivo, è curiosa: tutti sanno che proprio molte piante sono velenose, come certi funghi – amanite scambiate per prataioli –, la cicuta adottata nel secolo aureo della Grecia classica per condannati di rango, o le stesse piante medicinali più note, armi efficaci ma a doppio taglio proprio in quanto contengono sostanze molto attive: digitale e convallaria, cardiotonici ma anche veleni di cui muore ogni tanto qualcuno scambiandole per un'insalatina, o belladonna, impiegata come antispastico viscerale prima in tintura poi nel suo principio derivato – atropina – (atropa belladonna proprio per la pericolosità prende il nome da Atropos, regina delle Parche, dea della morte). Il principio attivo fu poi modificato in laboratorio così da ridurre al massimo gli effetti collaterali e perfezionarne la selettività, fino ai derivati antispastici più evoluti. Ė facile tentazione attribuire la credulità nelle piante al nostro ancestrale passato di scimmie arboricole. Comunque, i prodotti vegetali solleticano il sentimento arcadico che è in molti, il desiderio di boschi e ambiente incontaminato, il senso del Paradiso Terrestre, presente più o meno in tutte le mitologie, da quella biblica a quella greca, con le sue storie e immagini di ninfe e satiri e il dio Pan a presiedere; quel sentimento che permea la pittura di Giorgione e della sua cerchia nel primo Cinquecento e, più tardi, a cavallo del Sei-Settecento, anima il movimento dell'Arcadia, con un equivalente nei dipinti di Zuccarelli e di altri veneziani. Il ricorso storico culturale nel mondo di oggi, in un risvolto pragmatico e commerciale adeguato al momento, potrebbe assumere questo significato: erboristeria come espressione arcadica, versione contemporanea, prosaica e commerciale, del mito dell'Eden.

Quanto alle alghe, deve esserci qualcosa di irresistibile nel mare, per il suo connotato salubre e ristoratore o semplicemente perché evoca il gradimento che specialmente le donne provano all'idea di vacanza, di riposo, di sabbia finissima, di acque coralline verde-azzurro, di meraviglie caraibiche. Nella proposta insistita delle alghe nelle creme cosmetiche si sente un'eco del mito delle sirene: Ulisse, riempiti di cera gli orecchi dei compagni, si fece legare all'albero della nave per udire il loro canto senza esserne ammaliato (avranno cantato come la Callas? O come Joan Baetz?). Molto bello il racconto di Tomasi di Lampedusa La Sirena, in armonia con l'idea di sensualità splendente e misteriosa del mare: un vecchio grecista di gran fama confessa una prolungata avventura, vissuta da giovane in Sicilia proprio con una Sirena, mentre studiava, su una barca, un po' stordito in un torrido agosto. L'esperienza da sogno lo lasciò incapace di accettare altre donne, per l'improponibilità del confronto. La superiorità schiacciante della Sirena lo destinò ad essere scapolo per sempre.


Per simpatico e piacevole che sia il trasferimento in un mondo poetico, occorre individuare quando questa suggestione è sfruttata per imbrogliarci. Chiunque abbia una nozione di chimica può comprendere che gli stessi prodotti cosiddetti di erboristeria si servono delle tecnologie chimiche moderne per le formulazioni utilizzate, e che il concetto di prodotto "naturale" applicato alla cosmetica e alla tecnica farmaceutica, è una trovata commerciale. Spesso, anzi, sono gli eccipienti (diluenti, sostanze amalgamanti, profumo) e non il principio"attivo"a rendere gradita o meno una crema.

 


Francesco Dallera

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