Dürer a Venezia

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I pittori veneziani, fin dal primo Rinascimento, certamente hanno avuto accesso a pigmenti diversi e più ricchi. Non è solo un problema di scuola o di capacità, come a volte ha lasciato credere la critica, perché tutti i veneti hanno questa disponibilità e condividono un timbro comune: i Bellini (tutta la famiglia), Carpaccio, Giorgione, Tiziano, Lotto, Palma il Vecchio, Cima, Sebastiano del Piombo (in un intreccio che coinvolge Antonello da Messina e Mantegna), ma anche i minori come Mansueti, Basaiti, Catena, Cariani e i successivi grandi manieristi, in particolare il Veronese. Un quadro veneziano del Quattro - Cinquecento si riconosce, per impatto visivo e sonorità di colore, anche a distanza.

Dürer ha appreso molto, tutto, si può dire, su come procurarsi e impiegare il colore veneziano. Grande disegnatore (uno dei più grandi di tutti i tempi, nelle incisioni), se nei dipinti da un lato attenua la forza del disegno, fornisce però, in compenso, nel colore, qualche cosa di altrettanto personale e potente; l’effetto tonale complessivo è simile a quello veneziano, eppure ne è distinguibile, ha caratteri suoi propri senza possibilità di confusione, soprattutto nei quadri grandi o complessi (come l'Adorazione dei Magi degli Uffizi, la Pala d’Ognissanti di Vienna, la Festa del Rosario di Praga), in cui le preferenze nei rapporti e nell’equilibrio dei pigmenti risaltano meglio: predominano rossi aranciati e azzurri cupi. Può darsi che questo particolare timbro abbia a che vedere con il suo "segreto": una vernice da applicare al dipinto finito che, a differenza delle altre del suo tempo, non era gialla ma perfettamente trasparente (lettera dello stesso pittore del 1509).

Dürer, si sa, fu colpito durante i soggiorni veneziani, dall’abbigliamento delle dame e da soggetti come il granchio di mare, che non aveva mai visto prima; probabilmente proprio il colore delle "granceole" cerca di trasferire nei mantelli e negli abiti dei suoi personaggi.

 


Francesco Dallera

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