Erboristeria

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L’erboristeria conta adepti fissi e assaggiatori occasionali. I primi sono radicati nella loro preferenza e hanno spesso un bagaglio di letture specifiche sulle medicine "naturali". Sempre, sono resistenti all’assunzione di un farmaco "sintetico", che considerano velenoso prodotto di una civiltà aberrante. Preferiscono fare da soli e se, spaventati o presi in contropiede da qualche sintomo o accadimento grave, sono costretti a rivolgersi ad un medico convenzionale, lo fanno controvoglia, con ostilità e paura, riducendo le dosi dei farmaci "ufficiali" prescritti. Gli altri, gli occasionali, fanno qualche puntata in un territorio che ritengono tranquillo e sicuro, perché il rimedio fornito dalla natura – pensano – se non fa bene, male non può fare.

L’erboristeria è una bella industria, che sfrutta l’illusione di un ritorno alla natura. C’è un’organizzazione che fa da sostegno culturale all’erboristeria, e si applica nella sostanza o almeno nello stile anche ad altre medicine alternative: un miscuglio di affermazioni pseudoscientifiche, belle da credere, ma purtroppo non sempre vere, diffuse su pubblicazioni che ricalcano i modi di quelle mediche, oppure inserite nella stampa divulgativa, o in altri modi. Il più grande erborista, Messeguè, con il suo genio personale – certamente più per il business che per la scienza – ha dato grande impulso al settore: con i suoi libri (pieni di asserzioni prive di obiettivo fondamento), le sue cliniche, la sua onnipresenza, il suo opportunismo naturistico.


Nessuno nega il valore dei prodotti vegetali. La farmacologia moderna ha mosso i primi passi proprio sulla scorta di tradizioni ed esperienze che utilizzavano derivati di piante: la digitale, la belladonna, che contengono principi attivi tuttora impiegati, come la digossina e l’atropina. E l’elenco potrebbe essere lunghissimo, perché per secoli, millenni anzi, l’uomo – anche per mancanza di alternative - si è curato con le piante: tuttavia, per essere ammesse nella nostra farmacologia, le sostanze di origine vegetale sono state provate, misurate, e con precisione se ne sono stabilite le dosi necessarie e valutati gli effetti collaterali. Non basta dire che l’aglio abbassa la pressione: occorre aggiungere che, perché abbia un’efficacia, la dose deve essere di venticinque spicchi al giorno. Ė facile lanciare messaggi semplicistici, che eccitano la credulità generale (per esempio, "il rimedio naturale è sempre benefico", come se in natura non esistessero micidiali veleni). Si polarizzano ad arte le posizioni, truccando le carte: da un lato il talismano miracoloso e sempre innocuo, dall’altra l’industria avida, la modernità inquinante. Eppure allergie e irritazioni idiosincrasiche sono assai più frequenti con i prodotti di erboristeria, che hanno tutti i difetti dei farmaci sintetici, senza averne la purezza chimica, le garanzie, le verifiche. Grazie a leggi vecchie e confuse, i prodotti erboristici eludono sostanzialmente i controlli dell’autorità sanitaria.

La natura è anche matrigna. Molte verdure aromatiche sono cancerogene, i cavolini di Bruxelles inibiscono la tiroide, nei legumi c’è una tossina per l’intestino, conosciamo tutti il pericolo dei funghi, per non parlare della cicuta e di Socrate; un elenco delle sostanze tossiche contenute nei vegetali richiede un grosso libro. Tutto il patrimonio di idee sui cibi buoni e cattivi e sui rimedi ai mali, è empirico, deve essere verificato: non c’è nulla di sacro o di sicuro nella natura, nella tradizione, nelle consuetudini o nelle convinzioni secolari di un popolo; ogni credenza, se confrontata, messa alla prova, soppesata, può risultare un pregiudizio. Può avere un rispettabile senso poetico, ma non può essere elevata a valore scientifico.

 


Francesco Dallera

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