La "febbre" delle labbra |
|
|
|
La quasi totalità della popolazione si contagia durante l’infanzia attraverso un banale contatto (e la regione labiale è quella più esposta – baci, bicchieri mal puliti – e più fragile, perché ha la cute più sottile) e la prima manifestazione è di solito una gengivostomatite (infiammazione dolorosa estesa a tutto l’interno della bocca); però la risposta al contagio primitivo può, ai due estremi, sfuggire del tutto all’osservazione, dunque essere lievissima o assente, o – nei bambini con eczema costituzionale – prendere, al contrario, la forma di una grave eruzione varicelliforme estesa a tutto il corpo. Il virus si annida quiescente nel ganglio nervoso corrispondente al punto di entrata e la maggior parte delle persone non ha più manifestazioni dopo la prima, tranne in caso di infezioni impegnative, come polmonite pneumococcica, malaria, meningite, situazioni in cui facilmente compare herpes al labbro. In un certo numero di individui, però, condizioni molto più comuni riaccendono in forma minima il virus. Compaiono allora le tipiche vescicole a grappolo sul labbro superiore o inferiore (o nelle vicinanze), precedute da prurito o bruciore locale e malessere generale e seguite da croste, con risoluzione in dieci giorni, e le cause scatenanti sono: esposizione al sole, strapazzo fisico o psichico, mestruazioni, elevazione della temperatura corporea per esempio durante un’influenza o altre malattie febbrili (da questa associazione nasce il nome popolare di "febbre"); anche cibi piccanti che "accendono" la bocca e l’area di cute circostante sembrano, per alcuni, avere lo stesso effetto. La sede della prima inoculazione decide dove saranno le recidive, che ricompaiono nella stessa area anche se non nello stesso punto preciso: a volte, anziché le labbra, cioè il ramo mandibolare del nervo trigemino, à coinvolta la branca mascellare del trigemino, quindi l'area intorno alle narici o sulle guance, o la branca oftalmica, quindi intorno all’occhio, con possibile pericoloso coinvolgimento corneale, o, eccezionalmente, il torace nella regione intercostale (dove rassomiglia a un herpes zoster creando confusione), o la punta di un dito, di solito l’indice ("patereccio erpetico", perché si confonde appunto con un patereccio di origine batterica) o in qualunque parte del corpo. Si possono comprendere queste strane localizzazioni pensando ai possibili contatti con una lesione attiva erpetica di un altro soggetto, di solito quella classica sulle labbra. Lesioni invisibili, microscopiche soluzioni di continuo sono verosimilmente necessarie su una cute robusta per permettere l’ingresso del virus: infatti, sono descritti herpes simplex intercostali o in altre aree del corpo nei lottatori, indotti dalla lotta a contatti prolungati anche poco ortodossi, e a volte traumatici, della bocca con altre aree di pelle scoperta, mentre il "patereccio" erpetico (sul dito) era relativamente frequente nei dentisti e nelle loro assistenti, quando non era diffuso l’utilizzo di guanti per le manovre in bocca. Le localizzazioni erpetiche sui genitali sono provocate quasi sempre dal tipo 2 del virus. La trasmissione avviene con i rapporti sessuali, ma le recidive seguono la legge valida per il tipo 1: cadute di resistenza locale o generale. Diversi immunologicamente, i due virus causano infezioni indipendenti, e non c’è protezione crociata. Dunque è teoricamente possibile che sui genitali siano alternativamente presenti manifestazioni dovute al tipo 1 (ora più diffuso in questa sede – si dice – per incremento dei rapporti oro-genitali) e, in altri momenti, al tipo 2. Il laboratorio consente oggi una diagnosi differenziale precisa, quando la si ritenga utile, grazie al dosaggio degli anticorpi antivirali IGG (stabili e dunque indicativi di avvenuta infezione) e IGM (che sono elevati durante la fase acuta, in altre parole per un tempo breve subito dopo l'infezione e forniscono un’attribuzione specifica al virus implicato). L’Herpes genitale è guardato e curato con sospetto maggiore, perché più fastidioso e perché, nella donna, può creare problemi al neonato se al momento del parto c’è un’infezione attiva. Esistono farmaci efficaci, l’aciclovir in testa a tutti, che si possono impiegare sotto forma di creme, o anche in compresse di vario dosaggio, o, nei casi gravi, (nei neonati, a diffusione generalizzata, o nelle rarissime complicazioni encefalitiche, che insorgono quando le difese anticorpali dell’ospite sono ridotte), per via venosa. Non sono invece affidabili, per ora, i vaccini, che, anzi, secondo la FDA (ente americano di controllo sui farmaci) possono rappresentare un pericolo.
|
|
|
|
Francesco Dallera |