IL GRANA LODIGIANO

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Giacomo Casanova è soprattutto noto come avventuriero libertino, ma questo clichè è parziale e molto riduttivo. Anche il film che ne ha tratto Fellini, per quanto geniale e divertente, lo rappresenta semplicisticamente come un vanesio privo di moralità. Ma l’Histoire de ma vie, autobiografia, pubblicata in versione integrale solo 50 anni fa, è un poderoso affresco del Settecento, ricco di osservazioni e descrizioni profonde sia delle corti e dei circoli più esclusivi dell’aristocrazia europea da lui frequentati come protagonista, sia degli ambienti più umili, in cui si mescolava ugualmente disinvolto.  La sua presenza nel contesto sociale  e culturale della seconda metà del Settecento è sempre rilevante. Sembra che anche nel Don Giovanni di Mozart abbia messo il naso: la scena di Zerlina e Masetto  ricalca un episodio milanese raccontato nelle memorie così fedelmente che è inevitabile pensare a una collaborazione o a un suggerimento all’amico Da Ponte (librettista delle opere italiane di Mozart).

Ospitato dai Conti Bolognini nel  Castello di S. Angelo (al tempo quanto mai diroccato, senza vetri alle  finestre, con poche stanze abitabili), si incapriccia di una figlia del Conte e, come primo passo, si avvia a comprarle  libri, che lei mostra di desiderare.  

" Il giorno dopo mi recai a Lodi senza dire niente a nessuno e comprai tutti i libri che giudicai convenienti alla contessa Clementina, la quale capiva solo l’italiano. Acquistai anche dei testi tradotti e rimasi stupito di trovarli in una città come Lodi che fino allora non mi sembrava degna di considerazione se non per il suo eccellente formaggio, che, per altro, tutta l’Europa ingrata chiama parmigiano. Quel formaggio in realtà, non è Parma ma di Lodi e così quello stesso giorno non mancai di aggiungere un commento alla voce “parmigiano”nel dizionario dei formaggi che avevo intrapreso a scrivere e che poi abbandonai…”.

Come spiegato nella nota dei curatori – Chiara e Roncoroni, Meridiani Mondadori – a Parma si è presa male la perentoria affermazione di Casanova, ma diverse pubblicazioni dell’ Ottocento, come anche testimonianze letterarie precedenti (Boccaccio) confermano che Lodi era la vera patria del formaggio grana. Parma ne fu per secoli il centro di raccolta e smistamento, verso il Sud-Italia e tutta l’Europa e il formaggio prese per questo a chiamarsi parmigiano, come i tappeti provenienti da un’ampia zona confluente per il commercio a Mossul sono chiamati genericamente con il nome di questa città. Oggi la produzione di grana nella pianura del Po è suddivisa nelle tipologie “grana padano” e “parmigiano- reggiano” differenziate da specifiche di alimentazione nell’allevamento. C’è però uno sforzo da parte di alcuni produttori di ripristinare un grana lodigiano più caratterizzato, più vicino alla tradizione storica. Alcuni connotati sono sostanziali (esclusione di enzimi antibiotici, lunghissima stagionatura, formazione della “goccia” o “lacrima”, perché l’impasto non è pressato), altri di effetto cosmetico (verniciatura nera della crosta). I nomi o i marchi (Bella Lodi, Quadrifoglio) hanno lo scopo di sottolineare la peculiarità del formaggio grana lodigiano (i produttori sono almeno cinque, quattro consociati e uno indipendente, se ho capito bene, con estensione delle cascine nei territori cremasco e pavese). Ma la citazione di Casanova, che in tutta l’autobiografia si dimostra buongustaio ed esperto di cibi e di cucina e comunque è una testimonianza importante del gusto della sua epoca, non sarebbe un fortissimo argomento pubblicitario?

 


Francesco Dallera

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