I Film più belli

<<Torna all'indice



I film più belli si vedono quando si hanno vent'anni o poco più. La recettività è massima, massimi sono l’entusiasmo, la vitalità culturale, la sensibilità alla poesia. E il cinema a quella età si associa a esperienze e sensazioni giovanili, quando tutto appare nuovo e intenso. Per me, tra i film migliori nel genere intellettuale, da rivedere mille volte, sono senz’altro Il fascino discreto della borghesia di Buñuel e Arancia meccanica di Kubrick.

Il film di Buñuel (1972) è un sarcasmo lieve e feroce a un tempo verso i modi e la filosofia borghese, raccontati in maniera così alta e avvincente da perdere il connotato politico. Inframmezzato da flash onirico-surreali lirici e commoventi, descrive la vacuità composta di un mondo avido e insensato, però compiaciuto e tanto decoroso e corretto nella forma da apparire ineccepibile. Ė l’aspetto peggiore del mondo alto borghese quello che colpisce l’osservazione del regista, che lo vede senza astio ma con somma ironia, una visione dall’interno, si può dire, dato che Buñuel stesso era di famiglia benestante e signorile. Tutta la pellicola è godibile per densità di contenuti, qualità dei dialoghi (impagabili), ritmo, umorismo "serio", armonia, oltre che per la bravura degli attori che danno spessore anche alle parti surreali. Alcune scene sono straordinarie: per esempio quando, preparato un cocktail, si chiama perfidamente l’autista per dimostrare "Come non si beve un Martini" (Buñuel stesso fornisce con questo stratagemma la sua personale ricetta per il Martini dry), o i brevi strepitosi scambi di battute senza esclusione di colpi dopo l’inatteso ingresso del colonnello e dei soldati impegnati nelle "Grandi manovre" alla cena dei protagonisti o, la sera dopo, il seguito a casa del colonnello; o quella in cui Fernando Rey, ambasciatore di Miranda (splendido doppiatore di se stesso nella versione italiana) in convegno galante con la moglie dell’amico, alla inaspettata comparsa del marito, commenta meravigliosamente "Tanto meglio", con compostezza insulsa ma perfetta per stile. E il marito si comporta come se niente fosse, salvo manifestare tutta la sua gelosa, gesticolante irritazione -- ripresa dall’alto da una telecamera silenziosa -- una volta scese le scale del palazzo dove il tradimento stava per consumarsi.

Il piacere per Arancia meccanica (1971) cominciò con il paginone dell’Espresso formato gigante (non ancora tabloid) che lo pubblicizzava in un articolo corredato di fotografie di scena in bianco e nero e continuò nella visione anche grazie a epidermici appagamenti come l’impianto HiFi del protagonista (Malcom Mc Dowell giovane e fresco quanto adesso, trenta anni dopo, è brutto e rattrappito, tanto da impersonare l’assassino cannibale russo nell’ultimo film), con il giradischi Transcriptor, vanto britannico del design con le sfere dorate in luogo del piatto. Ė un film senza sbavature, come quasi tutti quelli di Kubrick e ha una tensione tutta speciale; di grande impegno intellettuale, non è mai noioso o cerebrale, ma fila via come un film d’azione; spettacolo brillante e agile come una commedia holliwoodiana, è però denso di significati a ogni sequenza. Accompagnato dalla splendida musica di Walter Carlos (che Glenn Gould – nientemeno – giudicava perfetto nelle interpretazioni di Bach con strumenti elettronici), straordinaria nel motivo conduttore Musica per i funerali della regina Mary, ha momenti di cinema sublime, come negli accoppiamenti accelerati al suono della Nona Sinfonia a velocità vertiginosa con le due ragazze rimorchiate, nelle espressioni di violenza che cercano di riprodurre con attenzione estetica e non bigotta il piacere che la violenza deve trasmettere a chi ne è inebriato (la bastonatura del mendicante, che richiama la scena iniziale con le scimmie in 2001 Odissea nello spazio, la battaglia con la gang di Billy Boy, la sorta di balletto in casa dell’intellettuale con la moglie, il raptus omicida nei confronti della "cat woman"), in una rappresentazione che non giustifica ma penetra psicologicamente nel problema.

Dato il genere completamente diverso, non ha senso paragonare i due film. Ma, siccome mi sono piaciuti tanto e appartengono alla mia età migliore, per me hanno qualcosa in comune e sono tentato di fare alcuni raffronti.

Il film di Buñuel ha un sottofondo morale: anche se nell’autobiografia – e si può crederlo – l’autore afferma di non essere stato minimamente intenzionato a produrre un film di polemica sociale, il risultato è, per usare uno schema convenzionale, un’opera di sinistra, del resto in armonia con la posizione storica dell’autore. La statura artistica lo sgancia, però, da ogni implicazione e limitazione politica contingente, trasferendo la critica sociale a una valenza universale e filosofica assoluta.

Kubrick, secondo lo stereotipo classico, si colloca più a destra di un bel po’, sembra accogliere una morale e poi la rifiuta, butta un’idea e subito dopo il seme del dubbio e la negazione, eppure senza confusione, con molta chiarezza. Nel dare risposte ai quesiti sulle incertezze dell’uomo e della società di oggi, riesce a essere problematico ma nitido. Al confronto di Buñuel, sembra più consapevole della enorme complessità che presentano le società attuali intrise di psicanalisi e di cultura innovativa, ma che proprio per questo evidenziano contraddizioni, vecchi valori caduti ma non sostituiti, doppiezze di personalità, dubbi antichi in vesti aggiornate. La sgradevoli figure dell’educatore-assitente sociale e del prete del carcere e quella umoristica, più divertente, ricalcata su Hitler, del capo-guardia e – grandioso – il Ministro degli Interni che fa il suo ingresso in visita sulle note della marcia di Elgar e alla fine, disposto a tutto pur di averne la collaborazione, imbocca con garbo il protagonista tutto ingessato in ospedale, sono esempi di personaggi bollati con un’ironia non di parte, senza colore politico: ciascuno semplicemente con le proprie debolezze e i propri egoismi, calato nel suo ruolo e finalizzato ai suoi scopi. Se guardiamo i due film uno dopo l’altro, entrambi sono eccezionali: Buñuel, fa, non per scopi politici ma per bisogno artistico, una satira profonda ed efficacissima, tanto alta nello stile che non riesce a essere manichea, Kubrick appare più moderno nelle domande, più mosso, più articolato nelle risposte, in altre parole, altrettanto assertivo ma ancor più attuale, più spregiudicato, più libero. Sono convinto che Buñuel sia stato, come persona, più amabile, più simpatico, più poetico, Kubrick più scientifico, più freddo, più ragionatore, più nevrotico, ma capace di altrettanto humour superlativo. Entrambi intelligentissimi. Quando vedo il film dell’uno, mi sembra preferibile, se vedo il film dell’altro, allora mi sembra preferibile quello.

 


Francesco Dallera

<<Torna all'indice