Quando ero bambino, si chiamava "colite spastica" o "colite mucosa". Poi è prevalso il termine "colon irritabile"; ora si preferisce, dato che non riguarda solo il colon, indicarlo come "intestino irritabile". È un quadro senza alterazioni organiche, che fa parte delle situazioni cliniche definite "sindromi digestive funzionali", espressione che sottende appunto l’assenza di lesioni anche microscopiche dimostrabili, anomalie del movimento piuttosto che della struttura. Alterazioni della coordinazione propulsiva dell’intestino producono uno spettro variabile di dolore o gonfiore addominale, più spesso dove il colon è angolato (in alto, a destra o a sinistra), associato in molti casi a stitichezza o diarrea. Più colpito è il sesso femminile, anche in giovane età. Non è raro vedere donne, per il resto del tutto sane, che, con la speranza e nel tentativo frustrante di sbarazzarsi dei disturbi, hanno eliminato progressivamente quasi tutti gli alimenti appetibili; altre che, per una certa sensibilità al freddo ingigantita dall’abitudine e dalla paura, indossano maglie di lana a più strati e pancere, come vecchiette; altri ancora, sofferenti di questa patologia, che hanno una dozzina di farmaci sottomano e combinano questi rimedi fra loro in un confuso intreccio, come esito di anni di sovrapposizioni. (La successione perversa di eventi si può ricostruire così: sintomi che non scompaiono hanno indotto a consultare medici diversi, ciascuno dei quali ha aggiunto o sostituito consigli e farmaci, i quali, accavallati nella memoria e nell’uso in maniera non sempre ordinata e razionale, creano regimi così aggrovigliati da diventare umoristici). Per definizione il vero "intestino irritabile" è caratterizzato da eccessiva reattività a diversi fattori, principalmente allo stress; è il risultato della proiezione di tensioni psichiche o di altro tipo su un intestino particolarmente sensibile e nessun programma alimentare, così come nessun farmaco, è in grado di risolvere per sempre la condizione. Occorre tuttavia molta cautela nella diagnosi, che deve essere accettata solo dopo esclusione di altre cause che provocano sintomi sovrapponibili o intrecciati, a cominciare dall’intolleranza al latte e ai latticini (formaggi freschi, yogurt), che può intervenire a qualunque età e determina dolore, gonfiore o diarrea. Forme lievi di malassorbimento (imperfetto passaggio dei nutrienti attraverso le membrane delle cellule intestinali verso il circolo sanguigno) possono dare sintomi sfuggenti e sfumati e sono oggi diagnosticabili con un semplice esame del sangue. L’intolleranza al glutine (frumento, orzo, dunque pane, pasta) richiede indagini e risposte molto precise da strutture mediche qualificate, non deve essere affermata con approssimazione: troppo spesso, e ancor di più dopo la diffusione recente (in un’aura e con un pretesto di scienza alternativa) di inaffidabili – diciamo pure falsi – test allergometrici con denominazioni e apparecchiature folcloristiche, si attribuiscono con faciloneria e senza fondamento etichette di intolleranza alimentare e si suggeriscono diete rigidissime e certamente inutili dopo il primo benefico effetto psicologico (un filone punitivo, sopravvivenza di aspetti sacrificali, espiatori, ha sempre percorso la storia delle terapie).
Antispastici, tranquillanti leggeri e, a seconda del disturbo prevalente, lassativi o antidiarroici, sono i medicamenti più utilizzati. Certi gruppi di farmaci classificati come antidepressivi, ma attivi anche a livello di mediatori chimici presenti nell’intestino, si sono dimostrati di grande aiuto. Verdure quali carote, cipolle, cavoli, cavolfiori, legumi – con i fagioli in testa – e quasi tutta la frutta, possono peggiorare il senso di ripienezza addominale, perché creano meteorismo (formazione di gas all’interno dell’intestino). Occorre in ogni modo tener presente che "intestino irritabile" è, come già detto, diagnosi per esclusione: prima di porla ci si deve assicurare con esami radiologici e strumentali, oltre che su sangue e feci, di non essere di fronte a una malattia organica o a una reazione alimentare, specialmente al lattosio, contenuto nei latticini freschi. Alcuni criteri sono già orientativi dopo un interrogatorio attento e una semplice visita generale: la sindrome funzionale non è caratterizzata da perdite ematiche, non provoca risveglio notturno, non si accompagna a dimagrimento. In presenza di questi sintomi è giustificato sospettare altro. In casi con sintomatologia importante e continua, ma con diagnosi ragionevolmente sicura, è frequente oggi il suggerimento di un appoggio psicoterapeutico; personalmente non sono però impressionato dall’utilità e dalla necessità di questo particolare supporto in questa patologia (più condizionata da anomalie di reattività dell’organo bersaglio che da un disturbo della personalità), se non nei limiti in cui l’aiuto di uno psicologo serve a chiunque (tutti abbiamo aspetti migliorabili del carattere e dello stile di vita). La rassicurazione sulla natura benigna della patologia, un medico che faccia sentire la sua competenza, il suo aiuto, il suo consiglio sulle problematiche che possono insorgere e generare dubbi nel paziente, il contributo farmacologico – certo determinante se ben scelto e modificato con finezza in base alla risposta – insieme alla consapevolezza sulla natura e sulla genesi dei disturbi, una verifica ben guidata degli influssi alimentari, conducono quasi sempre a un rapporto migliore con i sintomi, a una diversa capacità di affrontarli e rimuoverli e a progressi significativi nel benessere.