Itinerari nostrani: da Castelleone a Verolanuova

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Da Crema, in pochi chilometri, si raggiunge Castelleone. All'ingresso del paese, una chiesa di stile bramantesco è stata allungata da qualche parroco nei primi del Novecento (una campata aggiunta per contenere più fedeli o renderla più imponente e, per conseguenza, sproporzionata). In centro, la torre Isso, medioevale, chiamata Torrazzo come quella più famosa di Cremona. Seguendo il cartello indicatore, si arriva subito a S. Maria in Bressanoro. La stradina sterrata che fiancheggia il muro, via obbligata per la chiesetta, è una realtà d' altri tempi, e ricorda la descrizione del Porta nella poesia "Apparizion del Tass", rappresentazione virgiliana, tra le più belle in poesia, di una certa campagna lombarda, purtroppo quasi dovunque scomparsa, con presenza acustica oltre che visiva di acque - fontanili, rogge, fossi, chiuse - alberi disposti in fila e presenza sonora di un fitto canto d' uccelli. La chiesa di S. Maria in Bressanoro è la quintessenza in miniatura dell'arte lombarda, così poco appariscente, così discreta, lontana dall'esibizionismo, eppure così intensa e magica, nei suoi migliori esempi, per chi la apprezza. Costruita per volontà di Biancamaria Visconti, come ringraziamento per la guarigione di una figlia, surrogato di un voto non adempiuto (un viaggio alla Madonna di Guadalupa ), è un'esaltazione del cotto lombardo del Quattrocento: senza parlare dei fregi, il colore stesso del muro, dentro e fuori, è, da solo, opera d'arte, soprattutto in certe ore e condizioni di luce. Ha, all'interno, una particolarità forse unica: minuscole edicole che contengono statuine sempre di terracotta, nei pennacchi - o angoli - della piccola cupola. Nell'abitazione retrostante, addossata alla chiesa, la targhetta sul campanello indica un nome seguito da "violin maker": un liutaio (Cremona è vicina) lavora in campagna, in un posto davvero tranquillo.
Si prosegue per Soresina e Bordolano (all'entrata pilastri residui di una porta, più avanti villa seicentesca che oggi ospita un ristorante). Passando per Verolavecchia (piazza con torre civica che apparteneva a un antico castello), si giunge a Verolanuova. L'enorme chiesa è sormontata da un angelo alto tre metri, che gira con il vento reggendo lo stemma (un gambero) della famiglia signora del paese per un lungo periodo (Gambara); lo stesso stemma compare anche in un edificio vicino. Se è possibile, fatevi mostrare dal sacrestano le splendide chiavi d'epoca - ricami di ferro lucente, in un grande mazzo - che aprono le serrature originali. Nella chiesa sono due tele del Tiepolo, di grandissime dimensioni e della più alta qualità. I Gambara, cugini dei Borromeo, avevano palazzi a Venezia (vicino all'Accademia ci sono tuttora Palazzo Mocenigo-Gambara e Rio Gambara). Devono dunque aver chiamato il Tiepolo, come nel secolo precedente avevano chiamato altri pittori veneziani: Andrea Celesti (del quale si possono vedere nella chiesa grandi teleri), Gallina (Crocifissione), Maffei (Ultima Cena), per nobilitare il paese. Il Palazzo del Comune e la piazza antistante confermano la dignità che Verolanuova doveva avere a quel tempo. Il comune ha affreschi settecenteschi - non esaltanti - e un soffitto seicentesco policromo, ben restaurato. Il paese è attraversato dallo Strone, fiumiciattolo sorgivo che rende mosso il paesaggio.
Più avanti, lungo una stradina stretta e rettilinea, si arriva a Padernello, dove si vede il castello - cadente - dei Martinengo, nel quale era una quadreria di rilievo, con dipinti di Callisto Piazza e un importante ciclo di Giacomo Ceruti (il Pitocchetto), ora a Brescia.

(Devo il piacere di questi giri all'amico Felice Ferrari, che ne è conduttore impareggiabile, perché a una rara cultura unisce la capacità unica di scovare bellezze e curiosità poco note).

 


Francesco Dallera

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