De Kooning

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Uno dei miei artisti preferiti della seconda metà del XX secolo, è De Kooning. Non quello della prima maniera, copiata da Gorky, indicativa di una personalità tormentata, incerta, un po’ debole; bensì quello più caratterizzato delle opere tarde. In lui la consapevolezza del vizio di ambiguità implicito nell’arte contemporanea e l’impegno di dare una risposta alla domanda centrale (qual è lo scopo dell’arte?), sono tanto evidenti, da emergere espliciti, quasi paradigmatici.

C’è, per esempio, la necessità di combinare il disegno con la pittura rifiutando soluzioni convenzionali. Le acquisizioni del cubismo sono inglobate e, diciamo, sfruttate, ma il cubismo è programmatico e, per qualche verso, sconclusionato nella foga dell’invenzione. Chi ha una testa logica, chi cerca coerenza visiva, se non è troppo impressionato dal mito, può rimanere sconcertato davanti al cubismo analitico di Braque e Picasso – intenzionale fin che si vuole, ma disordinato sul piano ottico e logico – e tende a preferire le soluzioni più organizzate e conservatrici offerte un po’ più avanti sullo spunto cubista da Gris e Feininger che, nel rispetto più tranquillizzante di certi archetipi prospettici e volumetrici, appagano e risultano più "estetici". Il cubismo analitico rompe uno schema, ha enormi meriti, costituisce un suggerimento infinitamente fertile, una proposta geniale, ma non offre risposte del tutto coerenti; e le contraddizioni appaiono tipiche della fretta, come una pagina che, per fornire novità e angolazioni diverse, si riempie di anacoluti; rovescia la logica conformista, ma non ne suggerisce una alternativa che regga, proprio come un fenomeno protestatario. Il primo cubismo produce scomposizioni orchestrate secondo la suggestione di volumetrie tradizionali, che però non sono rispettate secondo la percezione reale, ma sono disarticolate seguendo un ostentato arbitrio: l’intenzione e l’apertura di nuovi orizzonti sono ammirevoli e trasparenti; il risultato e l’effetto, specialmente in Picasso, è quello di singolari castelli di carta con lamelle di acciaio accatastate senza apparente ordine ma alla fine funzionali alla costruzione di sculture metalliche, luccicanti su tela. Il secondo cubismo ("sintetico") finisce in un "a plat" decorativo, mantenendo una libertà dimostrativa nei contorni e ricercando invece un’armonia nostalgica nei colori, pur con qualche trovata nuova, come il collage, il finto legno e così via.

Entrambi i momenti del cubismo stupiscono per il disegno e piacciono per il colore (le cui soluzioni sono opposte: sfumato, volumetrico e severo nel primo, "analitico"; al contrario, piatto, morbido e gradevole nel secondo). Non è vero che uno sia conseguenza dell’altro: hanno in comune l’uso di frammenti di figure, separati e ricomposti arbitrariamente; ma sono capricci contigui e consecutivi (del duo Braque - Picasso), la cui connessione è più storica che sillogistica, formalmente sostenuta dal rifiuto delle prospettive convenzionali, con il denominatore comune della necessità di reperire diversi e nuovi rapporti tra le figure; capricci, tuttavia, differenziati nell’elemento ispiratore: il primo iperscultoreo, il secondo assolutamente "a plat", il primo monocromo e metallico, il secondo coloratissimo. In entrambe le fasi, se mai, la cosa sorprendente è la quasi interscambiabilità degli autori, che si inseguono su identico terreno, nella imperscrutabile simbiosi di motivi e di stimoli che artisti vicini in momenti storici felici stabiliscono, esaltandosi nella carica creativa. (Il mio sospetto è che l’idea cubista sia originata da Braque e di Picasso sia stata la grande capacità di sviluppo, da copiatore-acrobata di lusso; per tutta la sua straordinaria vita di pittore, Picasso ha infatti elaborato con genio e personalità spunti specifici di altri artisti, colti a volo e sviluppati con tale forza e talento da mascherare o far dimenticare, superandola, la derivazione.)

De Kooning, nelle sue opere migliori, con l’indubbio vantaggio di avere metabolizzato quasi quarant’anni in più di storia dell’arte e di avere assorbito tutta l’evoluzione postcubista, arriva a offrire soluzioni anche più coerenti sul piano teorico-intellettuale e forse più soddisfacenti sul piano visivo dei problemi che l’arte contemporanea ha aperto. Forse, per questo, ci voleva un americano o un americanizzato, più spregiudicato, disinvolto, scevro da pastoie accademiche o ricordi troppo scolastici. Insieme a Pollock e Rothko, ma in modo tutto personale, si può dire che offra davvero qualcosa di nuovo e di originale, ben riconoscibile come peculiare-americano.
Nei suoi disegni-dipinti, le linee seguono con spontaneità una sorta di scrittura automatica, mentre la pittura viene poi stesa in tutta libertà, con tonalità al confine fra la grazia e l’asprezza, con un esito apparente di casualità piuttosto che di ricercatezza, anche se il "casuale" in arte, si sa, è spesso finto, frutto piuttosto di lunga ricerca e di innumerevoli tentativi ed esperimenti. Il colore si deposita tra le linee senza pedanteria, suggerendo piani spaziali in equilibrio fra riproduzione di superfici sovrapposte, affiancate, accavallate e, invece, semplici artifici pittorici, creazioni di linee e colori con puro significato di astrazione. La massa di linee può ricordare le masse metalliche pressate dagli sfasciacarrozze, con le lamiere colorate delle automobili che si contorcono tra loro, un bel simbolo della contemporaneità occidentale. L’emergere di figure ("Women") è un puro accidente poetico, una fioritura che il fluido movimento della mano sulla tela produce con la misura del gusto critico da un lato e la spinta dell’inconscio dall’altro. Le donne di De Kooning, sono, per il mio modo di vedere, il prodotto forse più riuscito fra quelli che in questo secolo ci hanno dato gli artisti come congiunzione tra figurativo e informale. Per essere più preciso, vedo l’arte di De Kooning del tutto appartenente all’informale, sganciata dalla figurazione. Le figure, se si riconoscono, sono un comporsi non evitato, condotto dalla memoria, senza un proposito.

L’automatismo espressivo è trattenuto dalla coscienza e dalla cultura, e cultura e consapevolezza rendono grandi questi quadri, ancorandoli a un’eleganza assoluta mentre conservano l’illusione di una libertà totale. Ma al di là delle doti di controllo, di finezza, di poesia, che appartengono ad ogni vero artista, quello che mi piace di De Kooning è la modernità essenziale, la capacità di rappresentare ed esprimere in modo aperto e comprensibile il senso ambiguo, la difficoltà delle arti visive oggi, offrendo, peraltro, precise soluzioni: linee sganciate da schemi, astrattismo ma con possibili riferimenti figurativi (immagini che la mano e il cervello hanno tendenza o tentazione di inserire) e soprattutto la commistione di linee e colore che ora si affiancano accettando la superficie piana, ora si articolano componendo l’idea di piani volumetrici dislocati a varie profondità. Le linee, i profili – insomma il disegno – e il colore, si intrecciano in relazioni equivoche, non fisse, in un allusivo capriccio, che sottolinea e porta a galla l’arbitrio che sempre c’è, in ogni epoca della pittura, in questo rapporto. Stile e gusto senza sbavature controllano l’insieme. Pittura di superficie e suggerimento di piani spaziali si affiancano nella stessa opera a seconda di come si vuole guardare, ma per chiunque è inevitabile vedere entrambi gli aspetti allacciati. De Kooning è in bilico fra ghirigoro astratto e riproduzione ipotetica di piani e superfici ripiegate e accartocciate, in ricercata commistione fra assoluto metafisico della pittura, e simulacro di una figura mentale riprodotta su tela, concreta per quanto non realistica.

Decorativi, freschi nell’impatto visivo immediato, piacevoli, i dipinti di De Kooning sono però, sull’altro versante, profondi e pensati, sintetizzando in resa poetica le inquietudini e l’analisi di nuove scale di valori, adeguate al nostro tempo. Si possono appendere in casa con gran piacere e vantaggio per l’arredo, a patto di essere abbastanza ricchi da affrontare le tremende quotazioni attuali, ma meritano il posto che hanno conquistato nei musei come tappe di un’evoluzione artistica e simboli di un’epoca convulsa e tanto ricca di fermenti, interrogativi e immense contraddizioni.

 


Francesco Dallera

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