l'Opera

<<Torna all'indice



Per chi è stato adolescente negli anni sessanta, l’opera-rock Tommy degli Who probabilmente sarà più significativa dell’Aida. Non sono un conoscitore profondo dell’Opera, soprattutto non amo il Melodramma dell’Ottocento, che per toni e contenuti è abbastanza lontano dalla sensibilità delle generazioni dalla mia in poi. Certo, l’Opera lirica rappresentata a teatro è un altro spettacolo rispetto al semplice ascolto su disco; vederla all’Arena di Verona o alla Scala è tutt’altra cosa che ascoltarla in casa sia pure da un impianto ad altissima fedeltà o su uno schermo televisivo. Per capire almeno un po’ l’Opera, occorre andare a teatro.

Personalmente, metto al primo posto, con distacco, le opere di Mozart, capolavori assoluti, specialmente quelle italiane con libretto di Da Ponte e in particolare il Don Giovanni, prodotto di arte sublime. Poi metto Monteverdi (Orfeo) e Purcell (la semi-opera The fairy queen). Haendel, grande in tutto e rasserenante. Poi gli Who e, più giù, a pari merito, Gluck, Rossini -- che piaceva tanto a Stendhal --, Bizet. Di Gounod non ho sentito quasi niente. Wagner è profondamente suggestivo, certa sua musica è sconvolgente, ma non ho la pazienza e la concentrazione per stare attento cinque ore. Lo ascoltavo a pezzi, quando ero giovane e avido di cultura. Adesso, a pezzettini. Dirigere o suonare come orchestrale le opere di Wagner deve essere una fatica immensa. Ammiro i musicisti che si applicano così a lungo senza distrarsi. A Bayreuth la fossa per l’orchestra, profonda, non permette al pubblico di vedere altro che la testa del direttore. Il caldo estivo è opprimente nei giorni del festival e le opere di Wagner, si sa, sono lunghissime. Si racconta che il maestro Knappertsbusch, grande interprete wagneriano, vestisse per dirigere la giacca del frack, con camicia regolamentare e cravatta a farfalla, però senza pantaloni, in mutande. Io, sulle (scomodissime, si dice) sedie del teatro, non andrò mai a seguire il festival wagneriano. Poi, continuando la graduatoria ("ultim’in fundo"), l’opera dell’Ottocento italiano (Ella giammai m’amò, Ah non credea mirarti) con un'eccezione per la musicalità di Bellini. Credo anch’io, come suggerisce Arbasino (L’anonimo lombardo), che, se Leopardi, amico di Bellini, gli avesse scritto il libretto, la Norma sarebbe un capolavoro, ma così com’è risente della retorica incline al patetico, goffa ai nostri occhi, dell’Ottocento italiano. Peggio di tutti, ai miei orecchi, Verdi, la cui semplificazione armonica da canzonetta popolare ("pappazum") trovo sempre irritante, Anche Puccini, pur raffinato, e Mascagni, Leoncavallo, non si sono discostati dalla tradizione di strilli popolareschi, malgrado abbiano aggiornato lo stile con innovazioni di musicalità novecentesca. Un aggravamento ulteriore è venuto dai tenori e compagnia bella di scuola "belcantistica", tutti sospiri e singhiozzi, che a un giovane d'oggi suonano semplicemente ridicoli. Gli appassionati valutano i cantanti sulla base delle capacità virtuosistiche nel raggiungere certe note alte e nell'espressività che danno alla risata di "Ridi, Pagliaccio", fischiando dal loggione quando le corde vocali cedono ("stecca"). In uno scritto, Tomasi di Lampedusa sostiene che il Melodramma in Italia ha paralizzato ogni sviluppo della letteratura e della musica, calamitando tutte le energie in un versante negativo. Condivido. Tuttavia, l’Opera ha una sua magia: la stessa che, in piccolo, ha la canzone, quella del sentimento espresso in una forma che va al di là delle parole, intensificandole. Questa è la chiave della sua storia e del suo successo

Se  bado al puro piacere musicale, alla soddisfazione uditiva isolata da ogni presupposto e coinvolgimento culturale, la musica di Purcell è quella che preferisco, e mi prende una inevitabile commozione al pensiero che Purcell è morto a 28 anni come tanti grandi artisti. La sua tomba nel’abbazia di Westmister è nel pavimento, seminascosta. E dopo Purcell, come gradimento dell’orecchio, viene Tommy..

Tommy degli Who è una magnifica sequenza di rock vitale, ispirato e di bellissima sonorità, un rock per me insuperato. Credo sia a livello più alto di molte opere classiche onorate dal tempo e dalla fama e non solo per ovvia preferenza generazionale: la sua maggiore raffinatezza musicale mi sembra obbiettiva. Scelgo di ascoltare What about the boy piuttosto che Celeste Aida, ma penso, naturalmente, che Là ci darem la mano sia superiore a entrambi, oltre che collocato in un contesto infinitamente più complesso, irto di quesiti filosofici, umani e psicologici, capolavoro fuori da ogni tempo (Mozart e Da Ponte ritenevano, sotto le righe, Don Giovanni un personaggio immorale e negativo o un eroe positivo, un ribelle al conformismo?).

Tommy ha i suoi bravi recitativi moderni e le sue arie melodiche, di grande spessore ed eleganza. Il testo, un inno al bisogno d’amore famigliare, è ingenuo, ma come lo sono quasi tutti i testi d’opera. Se escludiamo le opere italiane con il libretto di Da Ponte, anche Mozart non ha dietro le sue musiche testi adeguati: il Flauto magico è una storia piuttosto stupida, che si suole giustificare e nobilitare con il pretesto dell’allegoria massonica, in realtà assai tenue come favola e come simbolo, resa credibile e potente dalla musica eccezionale. Per lo spettatore italiano il fatto che sia cantata in tedesco è un grosso vantaggio: permette alla maggioranza di non capire le parole. Chi vede e ascolta il Flauto Magico a teatro, deve subire gli interminabili recitativi in tedesco pronunciati con solennità. Ma la musica è veramente, veramente meravigliosa e riscatta tutto: i recitativi lunghi e noiosi, la storia sconclusionata e il libretto ingenuo e inconsistente. L’invenzione, la propulsione che Mozart le dà, solleva anche il testo puerile a grande altezza e anzi la leggerezza e superficialità della favola sembra scatenare la sua genialità con una componente bambinesca (che in Mozart è ben presente: a lui più che ogni altro si addice l’espressione-concetto di "Insostenibile leggerezza dell’essere" sviluppata da Kundera nel famoso romanzo) in una musica che a grande profondità unisce momenti di puro gioco (il canto di Papageno con la mordacchia, che solo Mozart poteva ideare).

Testo tedesco per testo tedesco, è più aderente alla mia idea di Settecento Il Ratto nel Serraglio, con il suo intreccio fra nobiltà europea e mondo orientale idealizzato, harem compreso: una fra le primissime opere per invenzione musicale continua e capacità di trasmettere piacere e serenità con la musica.

Gli esempi di testi incongrui dietro musiche di pregio sono numerosi. Carl Maria von Weber è un grande musicista romantico, ma la trama del Franco Cacciatore, vi pare una cosa seria?

Forse dobbiamo ammettere che il significato dell’Opera in senso lato è proprio questo: ciò che è troppo sciocco per essere detto può essere cantato. Ma anche: ciò che è troppo sottile per essere espresso o troppo profondamente sentito o troppo rivelatore o troppo misterioso. Kenneth Clark, nello splendido Civilization (BBC Books), cita la definizione di Samuel Butler: "Intrattenimento stravagante e irrazionale" e aggiunge di suo che "l’Opera è una delle più strane invenzioni dell’uomo occidentale".

L’enorme genio di Mozart ha dato nel Don Giovanni i risultati più straordinari. All’inizio dell’opera – prima, durante e dopo il duello di Don Giovanni con il Commendatore – quando in un’incredibile esplosione di musica l’assassino Don Giovanni, la sua amante Donna Anna, il servo Leporello e il morente Commendatore cantano, intrecciando le voci, i loro sentimenti, l’opera offre una reale estensione delle facoltà umane, un livello di espressività irraggiungibile con altri mezzi. 

 


Francesco Dallera

<<Torna all'indice