Pittori milanesi: Licos | |
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I dipinti più sofisticati sono quelli del periodo in cui prevaleva la monocromia marrone o scurissima, quasi illeggibili senza una luce forte, un attestato di ricercata raffinatezza dietro l’apparenza di artista semplice. Ammette di essere stato colpito da giovane dall’arte egizia e, per alcuni vecchi suoi lavori, parla di pittura-scrittura. L’assonanza, più che altro nell’atmosfera, nel timbro, nei colori ocra e rossastro-mattone, con la pittura dell’antico Egitto, si coglie, come anche un ricordo delle iscrizioni cuneiformi o dei rilievi assiro-babilonesi o, per altre opere, della scultura del primo medioevo, elementare e forte. Ma sono impressioni vaghe e remote, risultato dei condizionamenti per cui cerchiamo derivazioni e riferimenti a tutti i costi, accostamenti più – forse – gratificanti per noi che influenti per l’artista. Di fatto la pittura di Licos è modernissima, ma ha pochi agganci con i pittori contemporanei; se mai, appunto, prende spunti molto lontani nel tempo. Alcune cose evocano l’arte rupestre, le simbologie primitive. Fra gli artisti contemporanei consacrati, solo alcuni pittori americani dell’Action Painting (Pollock, De Kooning) hanno un vigore così istintivo e intenso, ma vedo analogie forti soprattutto con l’Art Brut di Dubuffet. Lontano anche dal gruppo COBRA, che è più scomposto e volutamente trasgressivo e aggressivo nel disegno e nei colori, Licos, sebbene libero ed energetico, è trattenuto, equilibrato, ha più regole compositive, non cerca la provocazione. Quanto ai pittori della Graffiti Art, celebrati anche loro ormai come interpreti del nostro tempo (Basquiat, Haring), sono propulsivi e vitali, ma più rozzi, meno strutturati e meno raffinati di Licos (specialmente Basquiat, perché Haring attua piuttosto un processo di cruda ed essenziale astrazione infantile, calcolato e intellettuale), anche se le loro quotazioni sul mercato americano sono miliardarie. Nel carattere e nel comportamento, Licos è come le sue opere: anarchico, ma non di un anarchismo affettato ed esibito; totalmente privo di pose; spontaneo e vivace, mai però invadente o eccessivo. Consapevole della sua qualità, orgoglioso, mi ha sempre impressionato per la totale mancanza di illusioni: sa benissimo come è oggi il mondo dell’arte, della critica e dei mercanti. Quando gli dico che, però, appoggiarsi a un mercante, tutto sommato, sarebbe utile, getta via il bastone di cui si serve (credo per scaramanzia più che per necessità) dopo un serio problema vascolare per fortuna ben risolto, e si allontana quasi correndo fra imprecazioni sussurrate che significano, più o meno, "Mercanti? Giammai". Non è venale, il denaro sembra lasciarlo indifferente, non ne parla e non lo guarda quando glielo date in cambio dei quadri. Ha una casa piccola che trabocca di opere di tutte le epoche e di fotografie, anche di quando – giovane – era parrucchiere per signora, uno studio vecchio stile, disordinato e selvaggio, suddiviso in diversi locali staccati fra loro, sul Naviglio.. La varietà è una sua nota peculiare. Non si ha mai il senso di una ripetizione, di un comodo rifacimento, pur in una produzione inesauribile. Nessun pittore, grande o modesto che sia, può essere ritenuto più originale di lui e più variato di opera in opera; l’invenzione è continua, ogni cosa è frutto di un ispirazione autentica, che si impone, di un’idea forte, eppure, pur diverso e nuovo in tutto quanto produce, la sua mano si riconosce facilmente. Non c’è da scomodarsi a far incorniciare i suoi lavori: cornici fantasiose e impreviste sono incluse nel quadro, fatte da lui: ora con assi vecchie intonate al soggetto, ora con bastoni intagliati come da un pastore o da un montanaro, ora con cornici di recupero accordate con il quadro, che sia dipinto o scolpito, ora con rametti verdi che richiamano i fiori dipinti con tratti stenografici nell’opera; il supporto dell’opera può essere tela, tavola, o un’anta di armadio degli anni trenta adattata; sempre - il tutto - con una freschezza vitale, un’armonia istintiva, una sintonia che trasmette entusiasmo e sorpresa. Un’avvertenza è necessaria: state attenti a non pungervi afferrando l’opera per portarvela via. Nel suo travolgente modo di lavorare, Licos ha fretta, e per non essere un pignolo pedante, può eccedere nell’altro senso: le cornici sono assemblate in modo rudimentale e fa parte dello stile che siano imprecise, asimmetriche, accidentate per gli intagli grossolani operati in una specie – immagino – di raptus. Capita che lasci chiodi o chiodini di cui non ha ribattuto la punta. Spenderete poco, infinitamente meno del valore di ciò che portate a casa: potete ben dare una prova del vostro stoicismo e della volontà di possedere il quadro accettando il rischio di maneggiarlo; ribatterete poi, piano, con cura, senza rovinare niente, il chiodo a casa vostra. La rifinitura dei chiodi sulle cornici è – per me – il solo difetto. E invece, una qualità è che gli potete suggerire un titolo nelle opere che non ce l’hanno: vi sembrerà di essere parte attiva perché, se gli piace, lo incide subito sul retro o scrive col pennarello indelebile. Saranno così evitate gli orrendi banali titoli astratti e concettuali che i pittori testardamente assegnano ai loro quadri.
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Francesco Dallera |