Pittori milanesi: Licos

<<Torna all'indice



Fra i pittori che preferisco, ce n’è uno di folgorante personalità, noto ai frequentatori di mostre itineranti. Mezza età, calabrese milanesizzato da decenni. Si firma Licos. Non racconta volentieri la sua vita, solo qualche flash ogni tanto. È fantasioso e moderno, ancorato però all’idea di produrre lavori da appendere alla parete, dunque in qualche modo tradizionale, indifferente, per cultura e per età. alla ricerca della novità come idea concettuale (installazioni, neon e quanto altro viene offerto come ultimo grido nelle arti visive). Dotato del soffio dell’arte, tutto quello che tocca e fa, diventa animato: è poesia, invenzione calda, messaggio. Se gli chiedete a chi abbia guardato, chi lo abbia ispirato, o, peggio, chi siano i suoi maestri, risponde senza enfasi: io sono autodidatta. E si deve riconoscere che non assomiglia a nessuno. Non si dilunga a spiegare le sue opere, evitando quegli esiti spesso patetici in cui tanti pittori cadono per dialettica inadeguata o scarsa cultura critica. Sembra infastidito dalle domande sui significati, è sinceramente insofferente ai complimenti, lo si vede bene. Al massimo descrive o ricorda: questa è la mattanza dei tonni, le barche che usavano prima, questa la raccolta dei pomodori in Calabria – ci andavo da ragazzino – queste sono motociclette. La sua non è una pittura facilissima da intendere: è figurativa, ma i soggetti sono poco riconoscibili; quando li scoprite, la suggestione è maggiore, perché si capisce che non si tratta di ermetismo ma di trasposizione onirica, di trasfigurazione fantasiosa.

I dipinti più sofisticati sono quelli del periodo in cui prevaleva la monocromia marrone o scurissima, quasi illeggibili senza una luce forte, un attestato di ricercata raffinatezza dietro l’apparenza di artista semplice. Ammette di essere stato colpito da giovane dall’arte egizia e, per alcuni vecchi suoi lavori, parla di pittura-scrittura. L’assonanza, più che altro nell’atmosfera, nel timbro, nei colori ocra e rossastro-mattone, con la pittura dell’antico Egitto, si coglie, come anche un ricordo delle iscrizioni cuneiformi o dei rilievi assiro-babilonesi o, per altre opere, della scultura del primo medioevo, elementare e forte. Ma sono impressioni vaghe e remote, risultato dei condizionamenti per cui cerchiamo derivazioni e riferimenti a tutti i costi, accostamenti più – forse – gratificanti per noi che influenti per l’artista. Di fatto la pittura di Licos è modernissima, ma ha pochi agganci con i pittori contemporanei; se mai, appunto, prende spunti molto lontani nel tempo. Alcune cose evocano l’arte rupestre, le simbologie primitive. Fra gli artisti contemporanei consacrati, solo alcuni pittori americani dell’Action Painting (Pollock, De Kooning) hanno un vigore così istintivo e intenso, ma vedo analogie forti soprattutto con l’Art Brut di Dubuffet. Lontano anche dal gruppo COBRA, che è più scomposto e volutamente trasgressivo e aggressivo nel disegno e nei colori, Licos, sebbene libero ed energetico, è trattenuto, equilibrato, ha più regole compositive, non cerca la provocazione. Quanto ai pittori della Graffiti Art, celebrati anche loro ormai come interpreti del nostro tempo (Basquiat, Haring), sono propulsivi e vitali, ma più rozzi, meno strutturati e meno raffinati di Licos (specialmente Basquiat, perché Haring attua piuttosto un processo di cruda ed essenziale astrazione infantile, calcolato e intellettuale), anche se le loro quotazioni sul mercato americano sono miliardarie. Nel carattere e nel comportamento, Licos è come le sue opere: anarchico, ma non di un anarchismo affettato ed esibito; totalmente privo di pose; spontaneo e vivace, mai però invadente o eccessivo.

Consapevole della sua qualità, orgoglioso, mi ha sempre impressionato per la totale mancanza di illusioni: sa benissimo come è oggi il mondo dell’arte, della critica e dei mercanti. Quando gli dico che, però, appoggiarsi a un mercante, tutto sommato, sarebbe utile, getta via il bastone di cui si serve (credo per scaramanzia più che per necessità) dopo un serio problema vascolare per fortuna ben risolto, e si allontana quasi correndo fra imprecazioni sussurrate che significano, più o meno, "Mercanti? Giammai". Non è venale, il denaro sembra lasciarlo indifferente, non ne parla e non lo guarda quando glielo date in cambio dei quadri. Ha una casa piccola che trabocca di opere di tutte le epoche e di fotografie, anche di quando – giovane – era parrucchiere per signora, uno studio vecchio stile, disordinato e selvaggio, suddiviso in diversi locali staccati fra loro, sul Naviglio..
Preferisce fare le mostre per le strade, sui navigli, in via Bagutta in primavera e autunno, e nelle altre occasioni milanesi, confuso fra centinaia di pittori bravi, meno bravi, o semplici dilettanti della domenica, apprezzato dai pochi ammiratori che sanno riconoscere un gioiello anche se non è presentato nella solennità di un museo importante o in una galleria lussuosa, illuminato con faretti alogeni e confortato da un apparato critico.
La sua pittura è caratterizzata da una stesura tendente al grafico, tratteggiata, che, in questo, può ricordare De Pisis; americaneggiante, forse, per la disinvoltura; al limite dell’informale (qualche volta al di là, qualche volta la di qua del confine), qualche volta memore del dripping di Pollock, con colori diversi nei diversi periodi, ora fumosi, ora freschi e vibranti, sempre materici. Licos poi ha modellato, in certi periodi, bassorilievi con polvere di marmo e colla, pieni di vita, vorticosi, percorsi da linee agitate che colpiscono per il fervore: cupo e violento in alcuni esempi patinati di grigio o di terre scure; suggestivo e solare in altri invetriati di colori chiari e luminosi.

La varietà è una sua nota peculiare. Non si ha mai il senso di una ripetizione, di un comodo rifacimento, pur in una produzione inesauribile. Nessun pittore, grande o modesto che sia, può essere ritenuto più originale di lui e più variato di opera in opera; l’invenzione è continua, ogni cosa è frutto di un ispirazione autentica, che si impone, di un’idea forte, eppure, pur diverso e nuovo in tutto quanto produce, la sua mano si riconosce facilmente.

Non c’è da scomodarsi a far incorniciare i suoi lavori: cornici fantasiose e impreviste sono incluse nel quadro, fatte da lui: ora con assi vecchie intonate al soggetto, ora con bastoni intagliati come da un pastore o da un montanaro, ora con cornici di recupero accordate con il quadro, che sia dipinto o scolpito, ora con rametti verdi che richiamano i fiori dipinti con tratti stenografici nell’opera; il supporto dell’opera può essere tela, tavola, o un’anta di armadio degli anni trenta adattata; sempre - il tutto - con una freschezza vitale, un’armonia istintiva, una sintonia che trasmette entusiasmo e sorpresa. Un’avvertenza è necessaria: state attenti a non pungervi afferrando l’opera per portarvela via. Nel suo travolgente modo di lavorare, Licos ha fretta, e per non essere un pignolo pedante, può eccedere nell’altro senso: le cornici sono assemblate in modo rudimentale e fa parte dello stile che siano imprecise, asimmetriche, accidentate per gli intagli grossolani operati in una specie – immagino – di raptus. Capita che lasci chiodi o chiodini di cui non ha ribattuto la punta. Spenderete poco, infinitamente meno del valore di ciò che portate a casa: potete ben dare una prova del vostro stoicismo e della volontà di possedere il quadro accettando il rischio di maneggiarlo; ribatterete poi, piano, con cura, senza rovinare niente, il chiodo a casa vostra. La rifinitura dei chiodi sulle cornici è – per me – il solo difetto. E invece, una qualità è che gli potete suggerire un titolo nelle opere che non ce l’hanno: vi sembrerà di essere parte attiva perché, se gli piace, lo incide subito sul retro o scrive col pennarello indelebile. Saranno così evitate gli orrendi banali titoli astratti e concettuali che i pittori testardamente assegnano ai loro quadri.

 


Francesco Dallera

<<Torna all'indice