Lino Cosoleto ( Licos )

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Lino Cosoleto (Licos), preso dalla voglia di fare un quadro, non si procurava una tela o una tavola di masonite, come tutti, o un cartone telato o una carta adatta; invece usava ante di armadi che sfasciava o assi irregolari, le rinforzava dove gli pareva aggiungendo assicelle,  ci faceva intorno cornici rudimentali decorate velocemente, vi applicava rametti spellati e intagliati, facendone uscire opere di dimensioni  e sapori diversi, quasi sempre irregolari e di aspetto primordiale, ma il cui esito era comunque di armonia barbarica e non leziosa, ma in qualche modo elegante. I soggetti sono mal definibili, quasi sempre figure con grandi cappelli a larghe tese, non messicani come sembrano ma calabresi dei ricordi infantili del pittore, per lo piú su barche, che remano e trasportano pomodori. Il fascino poetico delle figure  è legato ai colori, alla rapidità del tratto, alla padronanza del pennello o della spatola, al talento del pittore. Licos piace subito o non piace. Certo, se avesse operato sui marciapiedi di New York, potrebbe, meglio di Basquiat o di Haring, che gli sono molto inferiori come artisti, aver conquistato il mercato e il successo internazionale che meriterebbe.

Il suo disordine, la sua indifferenza nell’assemblare le parti del dipinto e la cornice – che c’è sempre, a dimostrazione di un principio e di una regola – sono quasi una ricercatezza, sono parte integrante delle sue opere, come i chiodi di tutti i tipi qua e là a chiudere, fissare, stabilizzare. Dall’insieme traspare un messaggio  di forza e di equilibrio, di spontaneità. La materia pittorica varia: olio, acrilico, smalti, con effetti diversi dipendenti anche dal supporto. Superficie ora lucida ora opaca. Insomma nessun quadro uguale a un altro. Quando portate a casa una delle sue opere, guardate e rimediate dove ci sono chiodi o graffette sporgenti, proteggetele con una colla trasparente, o altro, per non ferirvi maneggiandole. Se sono al rovescio, gli faccio un coperchio di vinavil che sovrasti il metallo, se al diritto ribatto il chiodo e poi lo correggo dall’altro lato. Consideratela una sua maniera di “non finito”. Licos aveva fretta, non perdeva tempo nei dettagli finali.

Aveva due grandi qualità per un pittore: era originale, sempre. E comunicava emozioni.

Ora Licos è morto, a 82 anni, dopo una vita da vero bohemien, non esibizionista ma composto, orgoglioso dei suoi quadri ma senza illusioni, consapevole dell’impossibilità di uscire da un certo ambito di consumo. Da giovane è stato parrucchiere per signora in ambienti lussuosi. Nella sua piccola casa di aspetto povero, ci sono fotografie con donne famose negli anni 50. Era una  persona gentile, vivace, che non adulava nessuno. Aveva amici sinceri. Alcuni gli facevano una pubblicità disinteressata, gli prestavano gli spazi dove tenere le opere. L’ho conosciuto in via Bagutta alla mostra annuale. Mostra che include dilettanti ambiziosi e professionisti non ancora esplosi. Ho pensato: se questi sono i 150 pittori  migliori di Milano fra quelli non ancora ai vertici del successo, i 3-4 migliori fra loro devono essere superlativi. Milano infatti  ha tradizione, cultura, contatti.

Se un artista ti sembra fra i più bravi di Milano, è fra i migliori del mondo.

Licos non era esoso. Sul prezzo ci si metteva d’accordo. Era fra i meno costosi. Gli piaceva, come a tutti, essere apprezzato, ma lo infastidiva l’adulazione e il complimento eccessivo, che commentava con un gesto della mano a svolazzo, quasi ad allontanare l’esagerazione.

 


Francesco Dallera

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