I Medici oggi non "visitano" più?

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I medici di oggi non “visitano” più? Da varie indagini conoscitive sembra proprio che sia così. Ben preparati e aggiornati scientificamente, imbottiti durante  i corsi universitari di nozioni dettagliate sulle più attuali evoluzioni della biologia e della medicina, i medici delle ultime generazioni – e per assimilazione e volontà di adeguamento anche una parte di quelli più anziani – tendono a sottovalutare gli antichi metodi convenzionali di diagnosi: anamnesi (raccolta della storia, famigliare, personale, lavorativa con i suoi risvolti fisici e psichici, e storia  dei sintomi, con attenzione alla loro modalità di comparsa, sviluppo, ripetizione, intensità) ed esame obbiettivo (visita fisica), scavalcati ormai nettamente, come percezione di importanza, dalle indagini tecnologiche, radiografiche, endoscopiche, tomografiche, risonanze magnetiche e via di seguito.  

Del resto, il paziente stesso presentandosi con un dolore o un altro disturbo, non si aspetta ormai una visita o un interrogatorio, ma piuttosto chiede se è meglio una TAC o una risonanza e se deve farla con o senza mezzo di contrasto (e mostra al medico  un pacco di esami sofisticati già eseguiti e una borsa di relazioni scaricate da internet}. Invece il medico perde molto rinunciando ai benefici di un’indagine clinica accurata vecchio stile. In precedenti occasioni ho citato casistiche inglesi e americane da cui emergeva che una storia accuratamente rilevata e una visita fisica, senza esami di laboratorio o radiologici, permettono al medico (che si suppone  preparato e critico) di arrivare alla diagnosi corretta in oltre 70% dei casi. Gli esami, anzi, quando non sono mirati, cioè se fatti a caso e  non indirizzati a un’ipotesi  precisa, possono addirittura creare confusione. 

Non tutti sanno quanto sia facile l’errore, nel risultato degli  esami ematochimici, implicito nel metodo. I valori normali sono stabiliti su base statistica, dunque sono in certa misura arbitrari. Se un individuo sano fa un esame di laboratorio ha 5% di probabilità di trovarlo fuori norma  (per difetto del metodo  statistico, scambio di campione, errore umano, taratura dello strumento, altro), se ne fa 6 le probabilità di falsa positività salgono al 26%, se ne fa 20,  64%. Ma il contesto, la moda, la paura degli aspetti  legali inducono i medici a prescrivere sempre più’ esami, anche con la consapevolezza che sono superflui o inutili.  

Un recente lungo articolo in una autorevole rivista di medicina interna a diffusione internazionale ritorna sull’argomento e sottolinea  questo aspetto, mettendo in rilievo quanto sia utile dedicare tempo ed energie al colloquio con il paziente e alla visita. I vantaggi sono evidenti: lo si può fare alla casa  o al letto  del malato, evitando i disagi dello spostamento qualche volta difficile,  problematico, scomodo, male accetto.  Offre  soluzioni molto rapide, l’orientamento diagnostico avviene in pochi minuti. 

È  economico: gli  esami da richiedere saranno ridotti in quanto mirati alle ipotesi selezionate. È sicuro, non comporta rischi o complicazioni, non avendo nulla di invasivo. Oltre a questo, l’approccio di tipo tradizionale – vecchia maniera, interrogazione e visita accurata – è,   per sua natura globale, “olistico” come si dice ora (ma spesso il termine olistico è usurpato da una medicina alternativa fasulla) e fa argine contro la dispersione e frammentarietà della spinta tecnologica, che enfatizza il particolare abbandonando l’insieme.

 L’approccio storico, tradizionale esalta la comunicazione con il paziente e la conseguente relazione, favorendo le sue preferenze e opinioni (“compliance” o gradimento), aspetto saliente per il successo della cura. Sono riconsiderate poi nell’articolo statistiche recenti che dimostrano una volta di più l’efficacia diagnostica del metodo clinico, che, in mani di un medico competente, confermando alla lettera  i dati già riferiti, fornisce il 72% di diagnosi  giuste prima che si disponga di esami radiologici o di laboratorio, una cifra analoga a quelle precedentemente  riportate da altre pubblicazioni. Tutto questo non toglie nulla al valore degli  esami sofisticati, dell’approccio   più moderno,  ma dovrebbe indurre a non dimenticare mai che la raccolta dei sintomi e il rilievo de segni fisici (semeiotica) rimangono fondamentali.   

Le facoltà di medicina italiane mi sembrano migliorate: hanno adottato metodi e testi moderni e hanno uno stile e una qualità internazionale. Lo studente bravo qualche decennio fa doveva in parte fare da  solo, l’insegnamento ufficiale era,  più o meno secondo le diverse sedi e i diversi docenti,  in alcuni settori, antiquato.  Però agli studenti che facevano pratica ospedaliera si insegnava a compilare benissimo le cartelle  cliniche, il che comportava visitare in modo pignolo ogni nuovo ricoverato, con il controllo e le correzioni successive di un medico esperto del  reparto (un tutor, che a quei tempi  non si chiamava così).. Ho l’impressione che, presi tra computer, protocolli, apparecchi elettronici, diagnostica per immagini, elettrocardiogrammi a distanza, docenti e studenti abbiano abbandonato molto dell’esercizio sul malato.

 


Francesco Dallera

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