I Medici oggi non "visitano" più? | |
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Del resto, il paziente
stesso presentandosi con un dolore o un altro disturbo, non si aspetta ormai
una visita o un interrogatorio, ma piuttosto chiede se è meglio una TAC o una
risonanza e se deve farla con o senza mezzo di contrasto (e mostra al medico
un pacco di esami sofisticati già eseguiti e una borsa di relazioni
scaricate da internet}. Invece il medico perde molto rinunciando ai benefici
di un’indagine clinica accurata vecchio stile. In precedenti occasioni ho
citato casistiche inglesi e americane da cui emergeva che una storia
accuratamente rilevata e una visita fisica, senza esami di laboratorio o
radiologici, permettono al medico (che si suppone preparato e critico)
di arrivare alla diagnosi corretta in oltre 70% dei casi. Gli esami, anzi,
quando non sono mirati, cioè se fatti a caso e non indirizzati a
un’ipotesi precisa, possono addirittura creare confusione. Non tutti sanno quanto sia facile l’errore, nel risultato
degli esami ematochimici, implicito nel
metodo. I valori normali sono stabiliti su base statistica, dunque sono in
certa misura arbitrari. Se un individuo sano fa un esame di laboratorio ha 5%
di probabilità di trovarlo fuori norma (per difetto del metodo
statistico, scambio di campione, errore umano, taratura dello strumento,
altro), se ne fa 6 le probabilità di falsa positività salgono al 26%, se ne
fa 20, 64%. Ma il contesto, la moda, la paura degli aspetti
legali inducono i medici a prescrivere sempre più’ esami, anche con la
consapevolezza che sono superflui o inutili. Un recente lungo articolo in una autorevole rivista di
medicina interna a diffusione internazionale ritorna sull’argomento e
sottolinea questo aspetto, mettendo in rilievo quanto sia utile
dedicare tempo ed energie al colloquio con il paziente e alla visita. I
vantaggi sono evidenti: lo si può fare alla casa o al letto del malato,
evitando i disagi dello spostamento qualche volta difficile,
problematico, scomodo, male accetto. Offre soluzioni molto
rapide, l’orientamento diagnostico avviene in pochi minuti. È economico: gli esami da richiedere saranno
ridotti in quanto mirati alle ipotesi selezionate. È sicuro, non comporta
rischi o complicazioni, non avendo nulla di invasivo. Oltre a questo,
l’approccio di tipo tradizionale – vecchia maniera, interrogazione e visita
accurata – è, per sua natura globale, “olistico” come si dice ora
(ma spesso il termine olistico è usurpato da una medicina alternativa
fasulla) e fa argine contro la dispersione e frammentarietà della spinta
tecnologica, che enfatizza il particolare abbandonando l’insieme. L’approccio storico, tradizionale esalta la comunicazione con
il paziente e la conseguente relazione, favorendo le sue preferenze e
opinioni (“compliance” o gradimento), aspetto
saliente per il successo della cura. Sono riconsiderate poi nell’articolo
statistiche recenti che dimostrano una volta di più l’efficacia diagnostica
del metodo clinico, che, in mani di un medico competente, confermando alla
lettera i dati già riferiti, fornisce il 72% di diagnosi giuste prima
che si disponga di esami radiologici o di laboratorio, una cifra analoga a
quelle precedentemente riportate da altre pubblicazioni. Tutto questo
non toglie nulla al valore degli esami sofisticati,
dell’approccio più moderno, ma dovrebbe indurre a non
dimenticare mai che la raccolta dei sintomi e il rilievo de segni fisici
(semeiotica) rimangono fondamentali. Le facoltà di medicina italiane mi sembrano migliorate: hanno adottato metodi e testi moderni e hanno uno stile e una qualità internazionale. Lo studente bravo qualche decennio fa doveva in parte fare da solo, l’insegnamento ufficiale era, più o meno secondo le diverse sedi e i diversi docenti, in alcuni settori, antiquato. Però agli studenti che facevano pratica ospedaliera si insegnava a compilare benissimo le cartelle cliniche, il che comportava visitare in modo pignolo ogni nuovo ricoverato, con il controllo e le correzioni successive di un medico esperto del reparto (un tutor, che a quei tempi non si chiamava così).. Ho l’impressione che, presi tra computer, protocolli, apparecchi elettronici, diagnostica per immagini, elettrocardiogrammi a distanza, docenti e studenti abbiano abbandonato molto dell’esercizio sul malato.
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Francesco Dallera |