La Medicina "naturale"

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“Natura” è tutto quanto ci sta intorno e non è stato fatto dall’uomo. Essere capaci di integrarvisi, esserne partecipi, saperne fruire, è fonte dei massimi piaceri. Dire che una cosa è in armonia con la natura trasmette un messaggio sempre favorevole.

Immersi nella natura ci sentiamo appagati, sereni, protetti.  Ma l’immagine di simpatia che la parola comunica si presta a un utilizzo ambiguo. L’espressione  medicina naturale,  tanto di moda, e riferita a una (pseudo) scienza osannata, è un vero equivoco. Vuole dire: fatta con prodotti non manipolati, o almeno pochissimo elaborati, dall’uomo, dall’industria, dai macchinari, dalle trasformazioni chimiche. Concettualmente è una presa in giro, una specie di favola per bambini. Si fonda sul presupposto, assolutamente astratto e irreale, che la natura produca solo cose buone e che, dunque, cure basate su prodotti della natura siano utili e mai dannosi, in contrapposizione a quelli chimici, industriali, cattivi e carichi di pericoli. Fatti di tutti i giorni rinnegano questa sciocchezza. Ci si avvelena con i funghi, o mangiando erbette prese come insalate e invece velenosissime. Il cuoco giapponese fa uscire qualche milligrammo del contenuto della colecisti di un pesce palla ed è morte  sicura per chi mangia il pregiato piatto contaminato dalla bile. Abbiamo imparato  nei millenni a distinguere i frutti e i vegetali commestibili da quelli tossici, a spese nostre, a costo di sbagli mortali. Il processo di affinamento dell’alimentazione è stato empirico e lento. Gli alimentaristi attuali si sforzano di aggiornare ogni dieci anni il programma di nutrizione ideale, ma vanno incontro a smentite clamorose. Si curavano con le diete la tubercolosi e la lue finché non si è scoperto il microbo che ha ridicolizzato l’approccio alimentare. Da ultima l’ulcera peptica ha subito la stessa sorte. Dopo essere stato raccoglitore di bacche e frutti e contemporaneamente predatore carnivoro per procurarsi le proteine nella fase di homo sapiens paleolitico, l’uomo, 10.000 anni fa, impara l’allevamento e la coltivazione, procurandosi alimenti più ricchi e più facili. Intanto, si può supporre, avrà cercato proprietà medicinali nelle piante per alleviare malattie e ferite e sulla base di continue osservazioni empiriche, ne avrà derivato una rudimentale conoscenza. Da Galileo e Newton in poi la scienza fondata sull’osservazione, perfezionata e arricchita dall’ elaborazione statistica, si è organizzata secondo un metodo. L’alimentazione dei vari popoli e la loro capacità  medica  si è costituita così, attraverso associazioni mnemoniche, verifiche, successi ed errori. Gli uomini primitivi avranno osservato che certe piante davano mal di stomaco, altre alleviavano il dolore, chi abitava nei paesi caldi avrà evitato il latte non fresco perché provocava indebiti movimenti intestinali, saranno state individuate erbe purganti e foglie antispastiche. Un bagaglio di conoscenze si è costruito in decine di millenni. Le conoscenze mediche del passato in gran parte, però, ci fanno  ridere, sono raccolte di inverosimili stupidaggini e pregiudizi, invenzioni fantasiose di qualcuno dotato di autorevolezza e capacità persuasiva. Mancava la chiave fondamentale, un rilievo statistico veramente obbiettivo. Su base intuitiva si prendevano abbagli, le credenze non erano tutte giuste. I famosi aforismi di Ippocrate, il più importante medico greco, sono una congerie di errori e approssimazioni. Riesce strano il confronto fra la grandezza degli artisti e dei filosofi dell’antica Grecia, nei secoli d’oro, massimo livello dell’espressività e del pensiero umano, con la povertà delle conclusioni di Ippocrate sulle malattie.  Gli aforismi di Ippocrate sono tutti sbagliati, ingenui, infondati. Mancava, nel pensiero del tempo, l’idea della verifica sperimentale rigorosa, galileiana. Il primo grande osservatore medico fu Leonardo: obbiettivo e implacabile, smascherava con semplicità le fandonie, faceva piazza pulita dei ciarlatani, molti titolati al loro tempo, traditori della scienza. Leonardo, se gli fossero state note, si sarebbe fatto beffe dell’omeopatia e dell’iridologia, dell’astrologia, della cartomanzia e della magia in genere, soprattutto quella che pretende di indovinare il futuro leggendo la mano o i fondi di caffè. Ho la miglior comprensione per le ragazze che guardano l’oroscopo perché cercano marito (e diventano indifferenti alle stelle una volta che hanno trovato un compagno sicuro). Non riesco a capire però chi affida all’omeopatia il proprio figlio piccolo con un malanno preoccupante. Chi ha paura degli antibiotici, una delle più grandi scoperte della storia, basa la sfiducia su una sorta di superstizione antimodernista. È vero che c’è un abuso di farmaci nella pratica comune, ma una cattiva applicazione non inficia il valore della farmacologia e non si deve confondere cattivo medico con  cattiva scienza: sostituire farmaci di provata efficacia con medicamenti alternativi privi di documentazione scientifica è insensato.

Sulla suggestione si basa probabilmente l’azione di tutte le nuove e vecchie medicine alternative, oltre che di molti macchinari elettromedicali  o presunte sorgenti di energia elettrica o magnetica, equivalenti della pietra infernale di un secolo fa, quando era chiara, almeno, la distinzione e l’importanza del’effetto psicologico di una cura.

Dite a un paziente, specialmente se è donna, “Le prescrivo un farmaco naturale”; la renderete felice. Ma è un inganno. I meccanismi biochimici che regolano le funzioni biologiche e quindi la salute e la malattia, sono basate su enzimi, proteine, vitamine, sostanze interattive, cioè molecole più o meno complesse. L’attività è affidata a componenti elementari. L’ideale è eliminare il resto, cioè la parte inattiva o dannosa. Per usufruire dell’effetto antispastico della belladonna, erba conosciuta per i dolori viscerali fin dall’antichità più lontana, si può usare un infuso o un estratto della  pianta; ma cosi si  otterrà una quantità imprecisa, che rischia di essere eccessiva o insufficiente o, peggio, tossica. Da quando è stato identificato che l’atropina è  il componente attivo della pianta, è possibile pesarne la quantità precisa e somministrarla senza rischi di sovradosaggio o sottodosaggio. Non è vero che un farmaco perché è vegetale o comunque non costruito in laboratorio, non “chimico”, sia privo di effetti collaterali: lo è come il prodotto chimico derivato, con l’aggravante che non lo si può misurare e dosare con precisione. La digitale in foglie era un cardiotonico molto pericoloso, poteva causare vomito e aritmie, la digossina che vi è contenuta, chimicamente isolata e pura,  lo è molto meno.  

Questi   sono esempi di farmaci seri e veri, che hanno subito un’evoluzione da empirici vegetali con attività farmacologica a principi attivi dosabili con accuratezza. Sono nell’uso terapeutico anche estratti di piante come tali (fitoterapia) per esempio per la prostata: l’azione è ben documentata e in questi casi non ci sono obiezioni, perché la loro efficacia è dimostrata con metodo scientifico. Ma la medicina naturale è piena, dall’altra parte, di esempi comici di sfruttamento dell’ingenuità dei fruitori. Le farmacie prosperano con i fiori i Bach – un bel nome -  e  di pappa reale e propoli, complementi alimentari preziosi e ricchi di elementi nutritivi bilanciati e vitamine, ma in quantità adeguata a un’ape – sia pure regina. Uno spostamento lillipuziano della proprietà ricostituente che il mercato farmaceutico propone per  bambini in crescita o signore asteniche. Il business fondato sulla credulità che la parola naturale ispira è notevole e né i produttori né i farmacisti né  i venditori parafarmaceutici di integratori hanno motivo di ostacolarlo. Ma se un laureato in medicina mi dice che pratica la medicina naturale, mi lascia perplesso e sono tentato di pensare (senza offesa, ma questa è la mia inevitabile e sincera opinione) che abbia studiato per niente. Perché basta una superficiale conoscenza di chimica per sfatare il fascino dell’aggettivo naturale riferito al potenziale curativo di una sostanza: quello che conta è il contenuto con attività biochimica. Per di più, una cosa che sembra sfuggire ai sostenitori in buona o cattiva fede dei farmaci naturali, è il fatto che anche questi sono prodotti con tecnologia industriale moderna, cioè macchinari, ingegneria, biochimica aggiornata che degli infusi e polentine della nonna non ha più nulla, a vantaggio e per rispetto di sterilità, sicurezza igienica e conservazione dei medicamenti. La loro “naturalezza” è, perciò, comunque contaminata. Le contraddizioni sull’argomento sono infinite: chi ama la naturopatia, la medicina naturale, odia gli antibiotici. Ma niente è più naturale delle muffe che uccidono i microbi e la scoperta da parte di  Fleming della penicillina si è basata proprio sull’acuta e casuale osservazione ("serendipity", frutto però di uno studio ispirato e prolungato), che, sulle piastre  inseminate di microbi, nei punti dove si sviluppavano le muffe di penicillum notatum, lì si eliminavano i germi patogeni, i microbi potenziali generatori di malattia. Così, una delle più grandi scoperte mediche, che ha rovesciato le sorti della battaglia fra l’uomo e le malattie infettive, portando la vita media da 30 a 80 anni, è rinnegata dai fautori della medicina “naturale”, che guardano gli antibiotici con sospetto degno delle peggiori superstizioni e demonizzano uno dei più meritevoli scienziati della medicina.

Ma l’illusione aiuta a mantenersi vivi e l’illusione medica è necessaria a molte persone, anche contro ogni evidenza, anche quando inverosimile. Forse per inclinazione personale, forse per esperienze deludenti, forse perché non accettano il crudo positivismo statistico della medicina attuale (una pianta è più poetica di una provetta), a molti piace avere idee strampalate, vogliono essere anticonformisti a ogni costo, almeno nelle cure mediche: solo così si sentono tranquilli e sicuri.

 


Francesco Dallera

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