Meglio Klee di Picasso ?

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Nelle arti figurative –  penso alla pittura in particolare – la considerazione di valore si appoggia su criteri in parte indipendenti, in parte concatenati tra loro. 

. Qualità di esecuzione. Presuppone, naturalmente, padronanza e maestria tecnica. Possiamo definirla come capacità di realizzare quello che l’artista si prefigge, ma si tratta di una definizione limitativa. La qualità, nel suo significato pieno, balza agli occhi davanti a un dipinto di Leonardo, di Holbein, di Vermeer.

. Valore storico. Un artista innovatore è in qualche modo più importante a parità di altre condizioni. Comunque questo è un punto di pregio, se è vero che la storia dell’arte è progredita  sotto l’effetto propulsivo di Giotto, di Masaccio, di Van Eyck, di Leonardo, di Michelangelo, di Giorgione, di Caravaggio, di Cezanne, di Picasso e di pochi altri che hanno rotto le convenzioni con la prepotenza del loro genio. Il loro influsso sui pittori contemporanei e successivi è inconfutabile e deve in ogni caso essere considerato un elemento di merito artistico. 

. Poesia. La vibrazione dell’animo che provoca un’opera d’arte è il connotato soggettivamente più rilevante ed è svincolato del  tutto dal ruolo storico, mentre non è disgiunto dalla qualità esecutiva, che è anzi contributo essenziale e irrinunciabile del pathos. L’elemento emotivo è connesso con il gusto e la sensibilità personale dell’osservatore, è il meno obbiettivo dei criteri di valore, eppure è spesso quello  che fa decidere studiosi e appassionati nelle attribuzioni controverse: chi assegna il Concerto campestre  (Louvre) a Giorgione piuttosto che a Tiziano, si affida a questo argomento tanto debole per i rilievi concreti quanto forte soggettivamente, ritenendo implicitamente chi è di parere opposto insensibile e incapace di comprendere il "sogno" giorgionesco.

Cezanne ha enorme importanza storica, è il vero iniziatore della pittura contemporanea. Una buona spiegazione della sua arte è nel primo capitolo de L’Arte contemporanea  di Renato Barilli. La  prospettiva sferica, la presa di coscienza della materia pittorica e del colore come "fenomeno", noumeno o essenza, sono la chiave di lettura della novità di Cezanne, dopo il quale la pittura è stata una cosa diversa: la pennellata  ha acquistato dignità di per sé, non come indizio o eco o ricordo o simulacro di una realtà più o meno fedelmente imitata. Ė straordinario  che questa consapevolezza sia passata rapidamente non solo nei grandi pittori che l’hanno seguito – Picasso Braque Modigliani Matisse, e, si può dire, tutti i grandi a partire dai primi del Novecento, ciascuno dei quali è ormai permeato da questo senso della pennellata come entità autonoma – ma anche, sia pure con un logico ritardo, nei pittori da poco, nei dilettanti che hanno presto acquisito questo nuovo sapore del fare pittura. Ma Cezanne è  stato anche il primo ad andare, per questa via, verso l’astrazione:  il Jardin des Lauves  (Washington, collezione Phillips) è il primo quadro astratto della storia. Eppure, con i suoi azzurri, i suoi paesaggi artificiosamente costruiti, nella sua voluta deformazione del disegno, personalmente, non provo quasi mai emozione. Le sue mele saranno anche, come dice Woody Allen in Manhattan, una delle ragioni per cui vale la pena di vivere (in effetti, dopo aver visto le sue nature morte, abbiamo guardato con occhi diversi alla frutta della realtà, il che è un dono della grande arte), ma davanti alla maggior parte dei dipinti la sensazione che provo è di  freddezza, di costruzione eccezionalmente qualitativa, tuttavia animata da una molla intellettuale in cui la razionalità è in netta prevalenza sul sentimento. Si può dare veste elegante e un po’ retorica al concetto, dicendo che Cezanne era troppo impegnato sul piano cerebrale a porre le basi di un‘arte nuova, per trasmettere anche poesia; che, per avere troppo pensato, ha inaridito le vene del sentimento. Più semplice e giusto, però, mi sembra ammettere che non avesse sensibilità lirica, che quello lirico non fosse  il suo universo.

Modigliani ha acquisito la sua stessa pennellata, i suoi contorni; basa su Cezanne la sua tecnica, è infinitamente meno importante sul piano storico. Però il suo senso del disegno, caratterizzato da una ferma e sublime eleganza, il suo modellato derivato dal Rinascimento ma trasportato nella modernità, in un fenomenale balzo di secoli in cui rimane evidente la continuità con i pittori fiorentini del Quattro e Cinquecento, esercitano su di me una pronta e intensa suggestione emotiva, e preferisco il suo timbro a volte leggermente edulcorato a un’opera fredda. Modigliani è il continuatore delle linee aggraziate e decise e del chiaroscuro di Botticelli , ma anche Ghirlandaio per gli incarnati e Pontormo per il disegno si affacciano in un immediato richiamo guardando, per  esempio, il magnifico Grande nudo  del Museum of Modern Art di New York.

L’accuratezza esecutiva, la finezza dei dettagli, l’attenzione alla materia e alla luce, è parte integrante della poesia nella pittura fiamminga del Quattrocento: un brivido percorre chiunque osservi con partecipazione Van Eyck, la cui immensa grandezza di pittore stupisce prima e al di là di ogni considerazione storica.

Entrando nella saletta piena di capolavori fiamminghi della Gemaldegalerie di Dahlem, Berlino (ora il museo è stato spostato e non so quale sia la disposizione attuale), si era per forza assaliti da una violenta indefinibile emozione alla vista del ritratto femminile con il velo bianco di Roger Van Der Weiden (che balza fuori dalla cornice come da una finestrella), forse per la sensazione di presenza viva dopo cinque secoli e mezzo, una dimostrazione di immortalità dell’arte che disorienta.

La sensazione di essere al cospetto del genio pittorico con tutte le qualità descritte, della perfezione dipinta, si prova con Leonardo: la Ginevra Benci di Washington (meglio conservata, non pasticciata dal restauro, più autentica della Dama con ermellino ), che, per merito della collocazione in uno sportello rotante e della disposizione della sala, è consentito  guardare da vicino, da lontano, dalla media distanza, di fronte, lateralmente, da dietro (c’è uno stemma a fogliame sul verso). Provocano quasi uno sgomento come di fronte a un prodotto sovrumano: la lucentezza della superficie, l’invenzione dello sfondo, la bellezza della figura, la severità e la malinconia dell’espressione. Tutto concorre a un senso di ammirazione, di commozione, di rispetto del genio, di desiderio di conoscere il pittore e la donna ritratta, e, se non si riesce a definire l’Arte, si può utilizzare questa tavola a olio come risposta. Uno dei pittori più poetici del Quattocento italiano e di tutta la storia dell’arte, è, ai miei occhi, Sandro Botticelli: la Deposizione di Monaco ( e, in misura lievemente minore, quella del Poldi Pezzoli) trasmette un pathos molto intenso. La luce e l’atmosfera, il nitore delle figure e l’espressività trattenuta hanno una forza intima che impone la sua legge emotiva. In Botticelli la bellezza esecutiva, l’aspetto "decorativo", sono essenziali al messaggio poetico. In alcuni dipinti di artisti eccelsi, la differenza fra le parti dovuta al contributo di collaboratori di bottega meno abili, dimostra più chiaramente di qualsiasi discorso quanto la qualità esecutiva influisca sul risultato poetico: il museo di Piacenza, vicino a casa mia, comodo da visitare e non disturbato dalla ressa, conserva un Botticelli: la Madonna e il Bambino sono di livello pittorico eccezionale, il San Giovanni è di tono nettamente più basso: sembrano due entità diverse, tesa e toccante l’una, ruvida e priva di fascino la seconda, a sinistra. Per valutare la novità di un artista occorre conoscere la storia dell’Arte. I critici dell’Ottocento, ricostruendo, con la collocazione cronologica, il posto e gli influssi dei pittori e delle scuole, ci hanno aperto la strada, fornendoci un primo assetto e permettendoci una messa a fuoco storica progressivamente più definita. La novità storica si intreccia ma si sovrappone solo in parte con l’originalità. Non si può dire, per esempio, che Carlo Crivelli abbia grande rilievo nella storia dell’arte italiana ed europea. I critici o l’hanno ignorato, a cominciare dal Vasari, o, a lungo, l’hanno situato ai margini, con un’etichetta di decoratore di classe. Per quanto piaccia, bisogna ammettere che aveva uno stile "tardivo" e che ha avuto scarso influsso. Eppure la sua personalità, la sua originalità sono grandi e pienamente supportate dalla finezza esecutiva; i tratti fisionomici e l’impatto visivo sono sempre ammirevoli, sorprendenti e del tutto caratteristici; la Madonna della candeletta a Brera , dal volto bellissimo, e la Madonna dell’Accademia Carrara di Bergamo con la sua immancabile frutta simbolica (per riferirmi ancora a opere vicine a casa mia e dunque per me facili da consultare), per non parlare della grande e meravigliosa Annunciazione di Londra, con tappeti e pavone, sono splendide e a ogni visita mostreranno aspetti e preziosità sfuggite alle osservazioni precedenti, in un’assoluta coerenza fra contenuto e forma (per usare il linguaggio caro a Matteo Marangoni).

Altro pittore che, senza essere un innovatore, senza aver prodotto svolte o creato seguaci, mostra però personalità prepotente e unica, è Piero di Cosimo. Tutti i suoi dipinti si impongono per originalità (sostenuta dalla qualità); i suoi animali "umani" sono insuperati prima e dopo di lui: il grosso cane scuro che veglia la ninfa alla National Gallery di Londra, ha un tono così dignitosamente triste e toccante, da essere senza uguali: è, forse, l’animale più poetico della pittura occidentale.

Giorgione ha punti al suo attivo qualunque sia il metro con cui lo si giudichi: qualità, influsso storico, originalità, coerenza stilistica , senso poetico. Siccome il suo messaggio è molto intenso e di timbro propriamente lirico, c’è come una spaccatura fra coloro che, sentendosi  affini al suo mondo, lo esaltano, e quelli che non ne avvertono il fascino e tendono a ridimensionarlo, in termini pragmatici, a grande ma incerto sperimentatore che, al massimo, ha avuto il merito di spalancare il cammino al titanico Tiziano. Si discute  se alcuni suoi dipinti, come I Tre Filosofi e La Tempesta, abbiano o no significati simbolici o allegorici. Chi ha sostenuto che le sue siano "poesie" senza tema, gli attribuisce la volontà di dipingere sull’onda dell’ispirazione, sotto l’influsso della cultura "arcadica" promossa dall’opera letteraria del Bembo e del Sannazzaro. Per quanto io sia ammiratore di Giorgione, disposto ad accettare qualunque teoria o leggenda  che ne aumenti il valore, questa interpretazione mi pare troppo modernizzante: nel primo Cinquecento una completa autonomia da significati simbolici delle scene rappresentate è un’ipotesi eccessiva e poco credibile; più probabile è che i significati ci sfuggano per la distanza e la nostra ignoranza dei dettagli culturali di quell’epoca. Piuttosto, è evidente che per Giorgione lo spunto simbolico è appena un pretesto, non viene preso troppo sul serio: è invece il messaggio lirico che si può spremere dalla scena a interessarlo, è il sentimento della natura a muoverlo, così da farne uno dei massimi pittori di paesaggio. Ma, oltre che nel paesaggio, la grandezza poetica di Giorgione è nella rappresentazione di un certo peculiare sentimento assorto e malinconico, che traspare dagli sguardi e dalle relazioni posizionali fra i personaggi rappresentati; sguardi diretti a un punto indefinito, in un composto e trattenuto preromanticismo rinascimentale. In nessuno dei suoi dipinti ci sono tratti drammatici, mentre è costante l’intensità del sentimento espresso da occhi e postura. Quanto alle caratteristiche tecniche, è sempre stata sottolineata la stesura a punti e piccoli colpi di pennello, un puntinismo del tutto personale, in funzione di una resa più morbida del colore, ben visibile con lenti a forte ingrandimento, che si riallaccia parzialmente al modo dei miniaturisti ad acquerello e precede di quasi quattro secoli il  programmatico pointillism di Seurat e Signac (e Segantini), utilizzato con tutt’altro intendimento (ma anche negli affreschi di Michelangelo è usata in più parti la tecnica puntillista). Questo particolare tecnico si interseca con la "pittura senza disegno", che già Vasari considerava tipica di Giorgione, e con il colorismo tonale, per il quale l’apporto di Giorgione è stato certamente determinante, ma sul quale gli scambi coni artisti veneti contemporanei rendono difficile stabilire  ruoli e priorità di influenze. Al di là delle dispute fra specialisti e degli studi sofisticati, evidente agli occhi di tutti in molte figure giorgionesche, è il contorno che sfuma o, come si dice in fotografia, un effetto flou, cioè leggermente sfuocato, un espediente espressivo nuovo e subito imitato. Persino da Giovanni Bellini, ben più vecchio di lui e forse suo maestro, grandissimo pittore a sua volta e sulla linea del lirismo più puro, per questo recettivo a tutto quanto potesse tradursi in maggiore risultato poetico.

Fra i quadri poco noti e poco riprodotti di maestri antichi, guardate , se passate per Digione, città che comunque merita di essere visitata, al Musée des beaux arts la Natività attribuita a Campin (che potrebbe essere però del suo illustre allievo Roger van der Weiden). La partecipazione emotiva e il messaggio trasmesso sono immediati; anche per chi consideri solo un pretesto l’ispirazione religiosa, il sentimento e l’atmosfera sono straordinari. 

Spostandoci negli spazi più accessibili della contemporaneità italiana, sono capaci di muovere l’emozione, almeno per la mia sensibilità, pittori molto diversi fra loro, come Tosi, ancorato a modi apparentemente convenzionali, ma vibrati nelle sfumature di colore e magici nelle semplificazioni sintetiche; De Pisis, che è sempre poetico e mi ricorda, negli scorci urbani Francesco Guardi (versione post-impressionista a fronte di versione pre-impressionista); Gentilini, surrealista lirico nella materia sabbiosa, nel colore e nelle linee, personali e delicate; Giuseppe Viviani, caro a Piero Chiara, che, grazie alla sincerità ingenua ma sostenuta nello stile, tocca il commovente senza cadere nel patetico.

Personalmente, considero molto importante il calore emotivo di un’opera visiva: vedo soprattutto in questo il soffio dell’Arte, il quid indefinibile soggettivo eppure condiviso (dagli "happy few" di Stendhal). Quello che mi fa preferire Klee a Picasso passando sopra all’enorme valore storico-rivoluzionario del vulcanico Picasso, Botticelli a Piero della Francesca nonostante le innovazioni storiche di Piero. O mi fa ritenere Schiele uno dei più grandi. Essere sentimentale nel giudizio sulle Arti Visive non è proibito.

 


Francesco Dallera

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