I paesaggi di Schiele

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Una mostra a Vienna, appena chiusa, ha giustamente valorizzato, con 80 quadri, il talento di Schiele per il paesaggio. Sebbene siano molto più noti gli acquerelli e i dipinti di figure e ritratti, circa metà della produzione artistica del grande pittore austriaco è stata dedicata a paesaggi e vedute urbane, poco esposti perché posseduti in gran parte da privati. Per il mio gusto, sono di valore equivalente o addirittura superiore alle figure. Mi spingo a dire: i paesaggi più belli della storia della pittura, confrontabili solo, per qualità, novità e incanto, se riusciamo ad astrarci dalle differenze di epoca, a certi sfondi di Giorgione-Tiziano (forse in parte eseguiti da Tiziano secondo una vecchia controversia, ma giorgioneschi nell’ispirazione) e ai paesaggi di Pieter Brueghel il Vecchio, il solo che pareggi Schiele per sensibilità atmosferica autunnale. I paesaggi di Schiele vibrano nelle linee, hanno tutti un taglio di inquadratura speciale e uno straordinario gusto nel colore, sobrio ma vivo e nuovo negli accostamenti, con un timbro gotico assoluto rivisto in luce modernissima. Dominano gli spigoli, ma sono i più armoniosi spigoli mai dipinti. Curiosamente, la travolgente modernità, evidente al primo sguardo, si associa a un’incredibile fedeltà persino nei dettagli minuscoli, come si può verificare dal confronto con fotografie degli stessi scorci di città e di campagna, spesso pubblicati a fianco del dipinto sui libri illustrati dedicati al pittore. Dicendolo con un ossimoro, una fedelissima trasfigurazione di case, campi,  alberi che acquistano un’anima, una vita come si era vista soltanto nella pittura di Brueghel (nel quadro dei mietitori a New York o nei restanti quadri dei mesi di Vienna: quello con le mucche, quello con la neve e i cacciatori che tornano con i cani e quello – Febbraio – con gli uomini che potano le piante). L’appiattimento voluto si combina con un rigoroso rispetto della prospettiva, per di più da posizioni strane e insolite, con un effetto di astrazione poetica singolare. Trovo, al paragone, sfatta e frivola, quasi infantile e nevrotica la pittura degli impressionisti e dei loro epigoni. Le sue case appoggiate le une alle altre, le chiese, le colline, le piante, i fiumi, sempre nella stagione autunnale o invernale, i piani che scorrono fino all’orizzonte (spesso con il sole rosso che tramonta) hanno un realismo personalissimo, nel colore e nella resa grafica: sembrano agitarsi miracolosamente nella staticità delle tele e delle tavole, grazie al movimento impercettibile e prodigioso dei profili e al colore "sporcato" di superfici inquiete, mai omogenee, in accostamenti cromatici sempre sorprendenti, emozionanti, drammatici eppure pieni di armonia. La combinazione fra meravigliosa armonia formale e intenso messaggio emotivo ha un fascino unico per chi sia su questa lunghezza d’onda. I paesaggi di Schiele sono l’esempio di un’arte che, ai primi del Novecento, pur rimanendo rigidamente figurativa, con una fortissima valenza grafica (la più forte che si possa immaginare), è capace di enorme rinnovamento, con una qualità uniformemente eccelsa. "L'arte non può essere moderna"-- scrive Schiele --"L'Arte è eterna". Definirlo come rappresentante di un movimento (che sia Secessionismo, Art Noveau, Espressionismo), pur nella legittimità storica, è riduttivo: un artista così grande deve essere compreso nella sua portentosa individualità.

Farei di tutto per avere uno o due paesaggi a olio, se fossi miliardario: per il puro piacere di ammirarli ogni giorno, a casa mia.

Come sarebbe evoluto Schiele, come avrebbe dipinto negli anni successivi se un crudelissimo destino non lo avesse voluto morto di spagnola a 28 anni?

 


Francesco Dallera

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