Pittori del nostro tempo

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Se bisogna ammettere che il valore storico, il ruolo nell’evoluzione dell’espressione artistica è la cosa più importante, allora nessuno è grande come Cezanne, Picasso e  Braque; e soprattutto Picasso, che tanto ha preso da altri elaborandone gli spunti con maestria e disinvoltura pirotecnica, sfuggendo però sempre dal rischio di sabbie mobili in cui son finiti tanti altri che hanno intrapreso strade senza uscita. Picasso, nella sua lunga vita artistica, non si è mai ripetuto. Ha copiato – diciamo meglio: catturato idee – da Cezanne e preso al volo le intuizioni di Braque (quella fondamentale – la scomposizione sfaccettata dei volumi  – che ha originato il Cubismo), dall’arte nera africana, da Sironi e Carrà, perfino da Modigliani, da Matisse, dagli espressionisti germanici, fino ai giochi dell’età matura, nei quali non ha avuto nessun ritegno a lavorare con fantasia sfrenata in variazioni al limite e oltre il cattivo gusto, lavorando sul brutto specie nei disegni, in una probabile sorta di presa in giro degli acquirenti. Era come un imperatore che si diverte a mostrarsi onnipotente: ecco uno sgorbio, compratelo, e una folla di mercanti e collezionisti se lo disputavano. Tuttavia non si è mai ripetuto e ha dimostrato fantasia, abilità, qualità in tutto quello che ha toccato.

Pensate a Campigli, un pittore (faccio fatica a chiamarlo artista) infinitamente sopravvalutato: trovato uno stile, che è una ripetizione deformata dei ritratti egizi di El Fayum, ha mantenuto gli stessi soggetti per sempre. Quegli occhi tutti uguali ricompaiono in ogni dipinto e non hanno motivo di essere rifatti in ogni quadro, sono solo un’ esca per clienti dell’animo semplice, collezionisti compiaciuti del valore economico. Non c’è nessuna variazione sostanziale nelle figure che sono rozze e anche il cambiamento di scenario (i teatrini!) è infantile e gratuito, senza senso. Morandi, pur essendo piuttosto noioso, fa una ricerca più sottile, prova variazioni delicate, tutte orientate verso la realizzazione di un universo tranquillo ed equilibrato, una chimera di pace e armonia. Un quadro di Morandi in casa lo guarderei spesso, di uno di Campigli, non saprei che fare.

Sappiamo che il mercato e le valutazioni sono  manovrati da mercanti e critici in combutta, ma alcune esagerazioni sono una presa in giro assoluta. Chi è così ingenuo e privo di gusto da acquistare  gli ”Occhi”di Virgilio Guidi e le sue Isole di S. Giorgio con il dettaglio supplementare – che produce nausea tanto è fuori luogo – della linea curva della spiaggia? Che coraggio ha avuto il pittore a proporre simili sciocchezza e che coraggio i galleristi a venderli? D’accordo, il guadagno, l’affare. Stesso motivo induce a gonfiare Schifano, inguardabile produttore di macchie cui forse non è estraneo, data la facilissima falsificazione, uno sfruttamento in questo senso.

Critici importanti sembrano allineati nel dire che Schifano è un grande pittore. A me sembra una vergogna. I commenti critici nell’arte visiva sono quanto mai iberi e del tutto staccati dalla  realtà come la vede una persona normale. Parole vuote, ermetiche che sono rifilate a chi non avendo un gusto proprio, si lascia infinocchiare, impressionato dal gorgo di parole. Ma per lasciarsi convincere da simili stupidaggini non basta mancare di gusto nell’arte contemporanea, bisogna anche non capire l’italiano.

Non è facile spiegare il gusto, perché un pittore piace, un altro no. Le spiegazioni verbali non rendono l’aspetto intuitivo sentimentale.

Per fare un esempio, mi piace molto Gentilini, definibile come un postcubista che usa l’a plat  del cubismo sintetico con fantasia e ispirazione personale. Invece Severini, tanto acclamato, rimpingua modelli picassiani o braquiani con molteplici oggetti multicolori, gradevoli ma poco entusiasmanti. Trovo Gentilini, al suo meglio, magico, Severini buon copiatore.

Se dovessi elencare i  pittori del 900 che sceglierei per  l’arredo di casa mia (tenendomi anche quelli che ho già, poco quotati ma per me bellissimi), direi Schiele (un paesaggio e una figura), Klee, Feininger, Braque della fase sintetica, Matisse specialmente dei collages, Dubuffet. Poi ci aggiungerei Fautrier e gli americani Pollock, De Kooning, Motherwell, i più ordinati e gradevoli degli espressionisti astratti. Sutherland fra gli inglesi. No pop art, No Hopper No Hockney.. Sì Nicholson, più di un quadro..

Italiani? Modigliani è insuperato come artista di puro sentimento, uno dei più grandi ritrattisti di sempre, intenso e commovente. Evoca Botticelli per le linee e riprende il Rinascimento italiano (anche nel modellato, per esempio nel nudo di New York), utilizzando la pennellata di Cezanne, come Schiele riecheggia il gotico tedesco. Poi Burri su tutti, pensatore della pittura che unisce pathos e razionalità nitida. Quindi Afro, la cui qualità è assoluta. Santomaso a una certa distanza (più rigido di Afro). Marino Marini, impeccabile come pittore quanto come scultore. Mattioli, di grande originalità ideativa, capace di rendere ambiguo il rapporto fra materia (supporti-colore) e rappresentazione. Licini, grande poeta lirico, eccellente anche nei colorati figurativi della prima fase. Tra i figurativi tradizionali DePisis: anche se fortemente diseguale (ci sono anche molti falsi a confondere), nelle opere sentite ha il dono della poesia. Poi ancora Rognoni, magico nei notturni trasparenti, e il raffinato Forgioli. E il veneto Gianquinto, poco “grafico” (direi “scontornato” mutuando il termine) ma elegante.

Non ho tabù o riverenze nel mescolare pittori storici a miei preferiti ancora senza fama estesa ma grandi in assoluto (raggiungeranno il successo se avranno incontri fortunati).

Testagrossa, originale nell’ideazione come nella tecnica, disegnatore sublime in chiave assolutamente contemporanea, non sfonda forse perchè troppo ingenuo testardo litigioso. È un ispirato, sente in sè l’autentica vocazione dell’artista e ne ha motivo. Ha una coerenza massima. Ma non sopporta che gli si facciano osservazioni negative. Gli rimprovero solo i titoli inutili e banali, non la pittura. Grida e accusa di ignoranza chiunque gli si opponga. Chiama la sua pittura Neoprimitivismo, giustificato titolo perché i suoi dipinti hanno tecnica e cultura di oggi ma ricalcano una freschezza e un senso mitologico da incisione rupestre, con un esito di grande bellezza e fascino.

Spagnoli, eclettico e colto, abile nel modellato, nel chiaroscuro come un pittore rinascimentale ma collegato, più che ad altri, a Klee e a suo agio in ambiente art nuveau. Sembra strano che, inserito anche nella realtà politica della sua città, per anni assessore alla Cultura nel Comune di Parma, apprezzato da architetti e arredatori di tutta l’Emilia, ideatore del Mercante in fiera (suo il logo con Il camioncino), non sia stato elevato sugli altari dalla critica e dai mercanti importanti. Se guardiamo a certi autori sospinti dalle televendite, appare davvero strano il meccanismo che oggi regola il successo. Forse Spagnoli ha un carattere schivo e troppo autonomo? Ho molte opere sue prese tutte da Giovati, gallerista- corniciaio indimenticabile. Non conosco di persona il  pittore. Ho letto suoi scritti, istruiti e simpatici. Comunque è grande.

Testagrossa e Spagnoli sono entrambi gradevolissimi sempre, non li cambierei con nessuna firma rinomata. A loro aggiungo Licos (“Lupo”, come si fa chiamare Lino Cosoleto, bohemien vero, calabrese milanesizzato, sereno e cordiale, che pare del tutto indifferente alle leggi del mercato e si appaga di vendere agli amici dal suo  studio (un grosso garage) sul Naviglio e alle annuali mostre collettive milanesi (Bagutta, Navigli). I suoi  quadri sono di spessore per ispirazione e tecnica, molto meglio di tutti i graffiti  americani, ma non siamo a New York e nessun mercante di grido ha mai guardato Licos. Noi lo possiamo comprare per poche lire, quasi  per niente. Non si dà arie ma è orgoglioso della sua opera, usa ogni supporto gli capiti, assi e porte di armadi facendone oggetti artistici non manierati. Le cornici nascono con il dipinto. Attenti però ai chiodi. Li dimentica esposti, per fretta.

Ho volutamente tralasciato i campioni internazionali.

Non mi interessano i grandi: De Chirico (belli i primi manichini, ma non ho affinità di spirito. Retorici e pesanti i dipinti barocchi), Savinio (più raffinato del fratello, forse più colto – leggete La scatola sonora), i futuristi (mi piace Depero), Carrà mi sembra povero, niente Novecento tranne un autocarro giallo di Sironi forse e qualche opera di Cagnaccio di S.Pietro, iperrealista limpido singolare. Vorrei Arturo Tosi perché lirico sebbene convenzionale. I suoi quadri trasmettono sempre un’atmosfera.  

Dei pittori affermati ad altissimo livello ho volutamente lasciato fuori Fontana, la cui considerazione internazionale è eccessiva. Lo stesso titolo del movimento di cui è capo, Spazialismo, è indizio di presunzione vuota, come spesso i titoli dei movimenti o dei dipinti. Che cosa aggiunge al quadro la definizione “Concetto spaziale”? Solo una goffa pennellata di pretesa cultura, una precisazione infantile, una tautologia inutile.

Sembra che critici e pittori nelle arti visive facciano di tutto per dimostrare la loro ignoranza – possiamo qui dirlo –“concettuale”.

I tagli sono un’idea per un quadro, ripeterli all’infinito è ridicolo, pagarli miliardi una sciocchezza. Ma almeno i tagli sono eleganti: i buchi – di Fontana – sono per di più sgraziati. Dei suoi seguaci, Crippa non mi interessa nelle spirali, è buono invece nei sugheri dove imita Burri.

Anche l’arte informale ha un disegno. Forte o debole, bello o brutto. Chagall a Parigi ha un disegno sfatto, senza definizione, senza costrutto. A me produce un senso di nausea, con quella confusione di proporzioni, disorientamento spaziale arbitrario e infantilismo voluto e mal riuscito. I soggetti ebraici devono aver avuto una parte nel suo successo, gli hanno forse fornito uno zoccolo di applausi in realtà immeritati. E dire che Chagall  era buon pittore nella fase russa, fino al ‘23, quando utilizzava un cubismo addomesticato adattandovi colori verdi e blu personali e splendidi.

Mirò non mi esalta. È povero di idee sotto la copertura pseudofantasiosa di tanti segni colorati vivacemente. Forse voleva copiare Klee, artista di ben altra statura. Mirò è sempre puerile, senza genio. Prendete una buona tela, fate una buona imprimitura di un colore spesso, un olio di qualità, poi tracciate qua e là punti e linee zoomorfe con attenzione a un certo equilibrio compositivo in numero moderato: avrete un Mirò. Non dimenticate il nero. Qua e là.

Se non avete voglia di fare attenzione, con un pennello grosso e un paio di colori, spennellate una tela casualmente e avrete uno Schifano ultima maniera (buste dipinte ecc.).I “paesaggi anemici” gridano vendetta al cielo. Ma chi li acquista, mi chiedo, li guarda?

Grande invece trovo, e molto forte nel disegno agitato e primordiale, considerato informale ma che una forma ha, Dubuffet. Ma anche Fautrier, che dipinge nella sua fase più tipica masse informi senza contorno, ha in mente un profilo deciso delle sue immagini. Posso dire informale con una forma solida?

Una piccola parentesi per dire che non sopporto Magritte e Delvaux, e non mi piace De Stael. Gli espressionisti tedeschi mi interessano, tranne Munch, che mi disturba.

Ingenuità che mi infastidisce è il titolo “Omaggio a”, con cui di solito i pittori pretendono con la scusa di ripetere un tema, un soggetto, uno stile di un predecessore illustre, di mostrarsi capaci di fare un quadro simile. Sarebbe più corretto annotare “imitazione di...”. I titoli, se escludiamo quelli di Klee e pochi altri, sono per lo più ridicoli e dimostrano l’ignoranza che prevale nell’ambiente. I critici paludati occupano lo spazio scrivendo stupidaggini che non significano niente. Mostrano i loro limiti e la loro credibilità quando scambiano per sculture di Modigliani teste di pietra lavorate per burla con Black e Decker qualche giorno prima.  A loro, per esempio al professor Argan, dovremmo affidare le expertise. “Teste di pietra autenticamente false”.

Non mi piacciono minimamente gli astrattisti  geometrici, Soldati Veronesi D’Orazio Accardi e assolutamente trovo insignificanti Bonalumi e Castellani. Pistoletto Clemente, ben sostenuti da una critica compiacente e sfacciata, hanno scelto una via del brutto con sfumatura scandalistico feroce. Chia fa un vero bad painting, colorato. Rotella mettendo Marilyn fra i manifesti stracciati, li rende più gradevoli, ma non basta.

Fra i nomi più noti in Italia, butterei a mare Fiume Cantatore e l’ultimo Cascella (papaveri e papere, ginestre e Portofino, barche a vela a go go, tanto uguali e banali che pensare a falsi è naturale, anzi è un atto generoso per il pittore). Brindisi era tutto storto ma più originale, però il suo mercato è stato guastato.

A metà fra informale e figurativo, senza badare alle classificazioni critiche ufficiali (astratto-concreto ecc.), mi piace quasi tutto di Morlotti, sempre sostenuto da forza e sapore.

Elegante ma debole Zoran Music, gradevole ma fragile e un po’ artificioso Turcato.

Visto che mi sono riaffondato nei giudizi sui pittori italiani, finisco co citare alcuni che hanno riempito il mercato. Sono piacevoli, ma tradizionalisti di poca inventiva, i chiaristi, Lilloni, Spilimbergo, Dal Bon, De Amicis, De Rocchi, come anche Consadori, o il piagnucoloso ma ottimo colorista Longaretti, o Pastorio).

 

 


Francesco Dallera

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