Pittori del nostro
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Pensate a Campigli, un pittore (faccio fatica a chiamarlo
artista) infinitamente sopravvalutato: trovato uno stile, che è una ripetizione
deformata dei ritratti egizi di El Fayum, ha mantenuto gli stessi soggetti
per sempre. Quegli occhi tutti uguali ricompaiono in ogni dipinto e non hanno
motivo di essere rifatti in ogni quadro, sono solo un’ esca per clienti
dell’animo semplice, collezionisti compiaciuti del valore economico. Non c’è
nessuna variazione sostanziale nelle figure che sono rozze e anche il
cambiamento di scenario (i teatrini!) è infantile e gratuito, senza senso.
Morandi, pur essendo piuttosto noioso, fa una ricerca più sottile, prova
variazioni delicate, tutte orientate verso la realizzazione di un universo
tranquillo ed equilibrato, una chimera di pace e armonia. Un quadro di
Morandi in casa lo guarderei spesso, di uno di Campigli, non saprei che fare. Sappiamo che il mercato e le valutazioni sono manovrati
da mercanti e critici in combutta, ma alcune esagerazioni sono una presa in
giro assoluta. Chi è così ingenuo e privo di gusto da acquistare gli
”Occhi”di Virgilio Guidi e le sue Isole di S. Giorgio con il dettaglio
supplementare – che produce nausea tanto è fuori luogo – della linea curva
della spiaggia? Che coraggio ha avuto il pittore a proporre simili
sciocchezza e che coraggio i galleristi a venderli? D’accordo, il guadagno,
l’affare. Stesso motivo induce a gonfiare Schifano, inguardabile produttore
di macchie cui forse non è estraneo, data la facilissima falsificazione, uno
sfruttamento in questo senso. Critici importanti sembrano allineati nel dire che Schifano è
un grande pittore. A me sembra una vergogna. I commenti critici nell’arte
visiva sono quanto mai iberi e del tutto staccati dalla realtà come la
vede una persona normale. Parole vuote, ermetiche che sono rifilate a chi non
avendo un gusto proprio, si lascia infinocchiare, impressionato dal gorgo di
parole. Ma per lasciarsi convincere da simili stupidaggini non basta mancare
di gusto nell’arte contemporanea, bisogna anche non capire l’italiano. Non è facile spiegare il gusto, perché un pittore piace, un
altro no. Le spiegazioni verbali non rendono l’aspetto intuitivo
sentimentale. Per fare un esempio, mi piace molto Gentilini, definibile come
un postcubista che usa l’a plat del cubismo sintetico con fantasia e
ispirazione personale. Invece Severini, tanto acclamato, rimpingua modelli
picassiani o braquiani con molteplici oggetti multicolori, gradevoli ma poco
entusiasmanti. Trovo Gentilini, al suo meglio, magico, Severini buon
copiatore. Se dovessi elencare i pittori del 900 che sceglierei
per l’arredo di casa mia (tenendomi anche quelli che ho già, poco
quotati ma per me bellissimi), direi Schiele (un paesaggio e una figura),
Klee, Feininger, Braque della fase sintetica, Matisse specialmente dei
collages, Dubuffet. Poi ci aggiungerei Fautrier e gli americani Pollock, De
Kooning, Motherwell, i più ordinati e gradevoli degli espressionisti
astratti. Sutherland fra gli inglesi. No pop art, No Hopper No Hockney.. Sì
Nicholson, più di un quadro.. Italiani? Modigliani è insuperato come artista di puro
sentimento, uno dei più grandi ritrattisti di sempre, intenso e commovente.
Evoca Botticelli per le linee e riprende il Rinascimento italiano (anche nel
modellato, per esempio nel nudo di New York), utilizzando la pennellata di
Cezanne, come Schiele riecheggia il gotico tedesco. Poi Burri su tutti,
pensatore della pittura che unisce pathos e razionalità nitida. Quindi Afro,
la cui qualità è assoluta. Santomaso a una certa distanza (più rigido di
Afro). Marino Marini, impeccabile come pittore quanto come scultore. Mattioli,
di grande originalità ideativa, capace di rendere ambiguo il rapporto fra
materia (supporti-colore) e rappresentazione. Licini, grande poeta lirico,
eccellente anche nei colorati figurativi della prima fase. Tra i figurativi
tradizionali DePisis: anche se fortemente diseguale (ci sono anche molti
falsi a confondere), nelle opere sentite ha il dono della poesia. Poi ancora
Rognoni, magico nei notturni trasparenti, e il raffinato Forgioli. E il
veneto Gianquinto, poco “grafico” (direi “scontornato” mutuando il termine)
ma elegante. Non ho tabù o riverenze nel mescolare pittori storici a miei
preferiti ancora senza fama estesa ma grandi in assoluto (raggiungeranno il
successo se avranno incontri fortunati). Testagrossa, originale nell’ideazione come nella tecnica,
disegnatore sublime in chiave assolutamente contemporanea, non sfonda forse
perchè troppo ingenuo testardo litigioso. È un ispirato, sente in sè
l’autentica vocazione dell’artista e ne ha motivo. Ha una coerenza massima.
Ma non sopporta che gli si facciano osservazioni negative. Gli rimprovero
solo i titoli inutili e banali, non la pittura. Grida e accusa di ignoranza
chiunque gli si opponga. Chiama la sua pittura Neoprimitivismo, giustificato
titolo perché i suoi dipinti hanno tecnica e cultura di oggi ma ricalcano una
freschezza e un senso mitologico da incisione rupestre, con un esito di grande
bellezza e fascino. Spagnoli, eclettico e colto, abile nel modellato, nel
chiaroscuro come un pittore rinascimentale ma collegato, più che ad altri, a
Klee e a suo agio in ambiente art nuveau. Sembra strano che, inserito anche
nella realtà politica della sua città, per anni assessore alla Cultura nel
Comune di Parma, apprezzato da architetti e arredatori di tutta l’Emilia,
ideatore del Mercante in fiera (suo il logo con Il camioncino), non
sia stato elevato sugli altari dalla critica e dai mercanti importanti. Se
guardiamo a certi autori sospinti dalle televendite, appare davvero strano il
meccanismo che oggi regola il successo. Forse Spagnoli ha un carattere schivo
e troppo autonomo? Ho molte opere sue prese tutte da Giovati, gallerista-
corniciaio indimenticabile. Non conosco di persona il pittore. Ho letto
suoi scritti, istruiti e simpatici. Comunque è grande. Testagrossa e Spagnoli sono entrambi gradevolissimi sempre,
non li cambierei con nessuna firma rinomata. A loro aggiungo Licos (“Lupo”,
come si fa chiamare Lino Cosoleto, bohemien vero, calabrese milanesizzato,
sereno e cordiale, che pare del tutto indifferente alle leggi del mercato e
si appaga di vendere agli amici dal suo studio (un grosso garage) sul
Naviglio e alle annuali mostre collettive milanesi (Bagutta, Navigli). I
suoi quadri sono di spessore per ispirazione e tecnica, molto meglio di
tutti i graffiti americani, ma non siamo a New York e nessun mercante
di grido ha mai guardato Licos. Noi lo possiamo comprare per poche lire,
quasi per niente. Non si dà arie ma è orgoglioso della sua opera, usa
ogni supporto gli capiti, assi e porte di armadi facendone oggetti artistici
non manierati. Le cornici nascono con il dipinto. Attenti però ai chiodi. Li
dimentica esposti, per fretta. Ho volutamente tralasciato i campioni internazionali. Non mi interessano i grandi: De Chirico (belli i primi
manichini, ma non ho affinità di spirito. Retorici e pesanti i dipinti
barocchi), Savinio (più raffinato del fratello, forse più colto – leggete La
scatola sonora), i futuristi (mi piace Depero), Carrà mi sembra povero,
niente Novecento tranne un autocarro giallo di Sironi forse e qualche opera
di Cagnaccio di S.Pietro, iperrealista limpido singolare. Vorrei Arturo Tosi
perché lirico sebbene convenzionale. I suoi quadri trasmettono sempre
un’atmosfera. Dei pittori affermati ad altissimo livello ho volutamente
lasciato fuori Fontana, la cui considerazione internazionale è eccessiva. Lo
stesso titolo del movimento di cui è capo, Spazialismo, è indizio di
presunzione vuota, come spesso i titoli dei movimenti o dei dipinti. Che cosa
aggiunge al quadro la definizione “Concetto spaziale”? Solo una goffa
pennellata di pretesa cultura, una precisazione infantile, una tautologia
inutile. Sembra che critici e pittori nelle arti visive facciano di
tutto per dimostrare la loro ignoranza – possiamo qui dirlo –“concettuale”. I tagli sono un’idea per un quadro, ripeterli all’infinito è
ridicolo, pagarli miliardi una sciocchezza. Ma almeno i tagli sono eleganti:
i buchi – di Fontana – sono per di più sgraziati. Dei suoi seguaci, Crippa
non mi interessa nelle spirali, è buono invece nei sugheri dove imita Burri. Anche l’arte informale ha un disegno. Forte o debole, bello o
brutto. Chagall a Parigi ha un disegno sfatto, senza definizione, senza
costrutto. A me produce un senso di nausea, con quella confusione di
proporzioni, disorientamento spaziale arbitrario e infantilismo voluto e mal
riuscito. I soggetti ebraici devono aver avuto una parte nel suo successo,
gli hanno forse fornito uno zoccolo di applausi in realtà immeritati. E dire
che Chagall era buon pittore nella fase russa, fino al ‘23, quando
utilizzava un cubismo addomesticato adattandovi colori verdi e blu personali
e splendidi. Mirò non mi esalta. È povero di idee sotto la copertura
pseudofantasiosa di tanti segni colorati vivacemente. Forse voleva copiare
Klee, artista di ben altra statura. Mirò è sempre puerile, senza genio.
Prendete una buona tela, fate una buona imprimitura di un colore spesso, un
olio di qualità, poi tracciate qua e là punti e linee zoomorfe con attenzione
a un certo equilibrio compositivo in numero moderato: avrete un Mirò. Non
dimenticate il nero. Qua e là. Se non avete voglia di fare attenzione, con un pennello grosso
e un paio di colori, spennellate una tela casualmente e avrete uno Schifano
ultima maniera (buste dipinte ecc.).I “paesaggi anemici” gridano vendetta al
cielo. Ma chi li acquista, mi chiedo, li guarda? Grande invece trovo, e molto forte nel disegno agitato e
primordiale, considerato informale ma che una forma ha, Dubuffet. Ma anche
Fautrier, che dipinge nella sua fase più tipica masse informi senza contorno,
ha in mente un profilo deciso delle sue immagini. Posso dire informale con
una forma solida? Una piccola parentesi per dire che non sopporto Magritte e
Delvaux, e non mi piace De Stael. Gli espressionisti tedeschi mi interessano,
tranne Munch, che mi disturba. Ingenuità che mi infastidisce è il titolo “Omaggio a”, con cui
di solito i pittori pretendono con la scusa di ripetere un tema, un soggetto,
uno stile di un predecessore illustre, di mostrarsi capaci di fare un quadro
simile. Sarebbe più corretto annotare “imitazione di...”. I titoli, se
escludiamo quelli di Klee e pochi altri, sono per lo più ridicoli e
dimostrano l’ignoranza che prevale nell’ambiente. I critici paludati occupano
lo spazio scrivendo stupidaggini che non significano niente. Mostrano i loro
limiti e la loro credibilità quando scambiano per sculture di Modigliani
teste di pietra lavorate per burla con Black e Decker qualche giorno prima.
A loro, per esempio al professor Argan, dovremmo affidare le expertise.
“Teste di pietra autenticamente false”. Non mi piacciono minimamente gli astrattisti geometrici,
Soldati Veronesi D’Orazio Accardi e assolutamente trovo insignificanti
Bonalumi e Castellani. Pistoletto Clemente, ben sostenuti da una critica
compiacente e sfacciata, hanno scelto una via del brutto con sfumatura
scandalistico feroce. Chia fa un vero bad painting, colorato. Rotella
mettendo Marilyn fra i manifesti stracciati, li rende più gradevoli, ma non
basta. Fra i nomi più noti in Italia, butterei a mare Fiume Cantatore
e l’ultimo Cascella (papaveri e papere, ginestre e Portofino, barche a vela a
go go, tanto uguali e banali che pensare a falsi è naturale, anzi è un atto
generoso per il pittore). Brindisi era tutto storto ma più originale, però il
suo mercato è stato guastato. A metà fra informale e figurativo, senza badare alle
classificazioni critiche ufficiali (astratto-concreto ecc.), mi piace quasi tutto
di Morlotti, sempre sostenuto da forza e sapore. Elegante ma debole Zoran Music, gradevole ma fragile e un po’
artificioso Turcato. Visto che mi sono riaffondato nei giudizi sui pittori italiani,
finisco co citare alcuni che hanno riempito il mercato. Sono piacevoli, ma
tradizionalisti di poca inventiva, i chiaristi, Lilloni, Spilimbergo, Dal
Bon, De Amicis, De Rocchi, come anche Consadori, o il piagnucoloso ma ottimo
colorista Longaretti, o Pastorio). |
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Francesco
Dallera |