Pittori sopravvalutati

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Non riesco proprio a capire chi si compra le isole di S. Giorgio o gli “occhi” , a volte corredati da un volto semplificato,  di Virgilio Guidi, pagandoli profumatamente:  sono orribili, oltre che infantili.  Davvero sfacciato chi li propone, ma chi li prende da appendere in casa? Anche i visi di Treccani non dicono granché di più.  E quelli di Migneco sono più espressivi ma in compenso più comici per la bruttezza. Per affermare la loro sensibilità sociale certi artisti  (?) riducono a maschere i loro personaggi.

A livello internazionale, mi piace poco Chagall, quello più noto e maturo, con il disegno sfatto, gli asini e i galli. Molto meglio nella prima fase, a Vitebsk, di ispirazione cubista, un cubismo tenue e reso docile, in cui risaltano belli i verdi e i blu. Il successo dei temi religiosi è stata – credo – una  manovra furbesca, Chagall come pittore mi crea un senso di nausea, come mi succede con Debussy nella musica.

Il senso di libertà che le teorie contemporanee consentono, permette deformazioni ed eccessi. Picasso, chi lo può criticare?

Eppure di lui circolano cose bruttissime senza rimedio.

Kandinsky – uno dei primi astrattisti – è ottimo teorizzatore, ma come pittore vale poco: è dispersivo e arbitrario, non comunica emozioni, come invece riescono a fare Klee e Dubuffet, o Fautrier.

Spesso i pittori si mostrano incolti o ingenui nei titoli. Sarebbe meglio che tacessero. Che Fontana definisca molti suoi dipinti “Concetto spaziale”, aggiunge o toglie all’opera? Non fa ridere?

E “Futurballa” non è infantile? Sono accettabili qualche volta  i titoli puramente descrittivi, che danno nome a un luogo, o quelli veramente intelligenti  o ironici. Per esempio quelli di Paul Klee. Non serve a molto del resto avere come conferma “natura morta con bottiglia” o “nudo di donna”, a parte il caso in cui il riconoscimento sia difficile (per esempio quando si è incerti a identificare il sesso...). Da evitare poi il tanto diffuso “omaggio a… ”, che significa: vedete come anch’io sono capace di dipingere cosi’ se voglio.

Sono formule tutte scimmiottate da un certo gergo ingenuo di cui i pittori si beano, credendo che faccia “cultura”.

Titolare i dipinti è operazione delicata che mostra di solito la carenza culturale dei pittori. I pittori farebbero meglio a limitarsi all’espressione artistica per cui hanno il talento, astenendosi rigorosamente dal mettere il naso in interpretazioni letterarie della loro opera. Come il musicista ha il paroliere, potrebbero avere appresso, se proprio lo vogliono, un titolatore. Ma attenzione anche così : i critici delle arti visive contemporanee sono spesso (poche eccezioni) vuoti retori senza pudore, capaci di dire qualunque cosa, approfittando dell’ignoranza sull’argomento di chi legge. I titoli di un critico professionista possono essere  ancora peggio di quelli scelti dal pittore. 

 


Francesco Dallera

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