Pittura Naïf

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La seconda mostra di Ligabue a Orzinuovi (dopo venti anni dalla prima) è un’opportunità di riflessione sull’arte naïf. Intanto occorre dire che il vocabolo permane ambiguo ed è impiegato in accezioni diverse, per indicare forme d’arte fra loro anche molto differenti. Natalia Brodskaia, a lungo conservatrice dell’Ermitage (dal 1961, dunque ancora in anni di oscurantismo sovietico, eppure sorprendentemente spregiudicata nella critica), ha pubblicato (Parkstone) un bel libro in cui affronta dal punto di vista concettuale il discorso sull’arte naïf, elencando una serie di espressioni verbali considerate più o meno sinonimi per i pittori naïves: neoprimitivi, istintivi, pittori della domenica. Nelle illustrazioni e nel testo, senza preoccuparsi troppo di chiarire le distinzioni logiche, ma dimostrando come è complesso il problema, include come esempi particolari di arte naïf - dimostrando con immagini – primitivi pre-rinascimentali, arte negra, Picasso, Matisse, Mirò, Van Gogh, Derain, Vlaminck, Chagall e altri contemporanei consacrati e non propriamente ingenui, per i quali la componente naïf era piuttosto una precisa scelta culturale. Nonostante possibili opinioni in disaccordo, del resto inevitabili per qualunque opera critica, il libro è interessante per l’approccio erudito a una produzione solitamente snobbata o trattata con sufficienza perché considerata dilettantistica.

Personalmente intendo la pittura naïf semplicemente nel significato suggerito dal lessico, come pittura ingenua, prodotta da pittori quasi privi di sovrastrutture culturali o accademiche, simili quindi ai bambini. A volte anche le persone mentalmente disturbate, o almeno considerate tali dalla società secondo i parametri convenzionali, se si dedicano all’espressione artistica, mostrano una regressione che conferisce una tonalità naïf, sebbene, naturalmente, il discorso si intrichi perché nulla vieta che uno psicopatico, per quanto incline all’istintivo, sia educato in pittura o colto in generale. Altre espressioni artistiche sono state avvicinate al naïf con eccessiva approssimazione: l’arte primitiva, tribale, ha rassomiglianze e parentele col naïf, se non altro perchè non ha dietro alcuna accademia, ma è legata a significati simbolici, religiosi o rituali che sono pure una sorta di scuola; l’arte visiva da fine Ottocento in poi comprende molte opere, pensate e ricercate, sul versante ingenuo o finto ingenuo; ci sono stati grandi pittori come Klee o Dubuffet che hanno volutamente ripercorso figurazioni infantili, con motivazioni e giustificazioni diverse e supremi risultati; Mirò e Chagall hanno invece mistificato e fatto pasticci, con esiti artificiali il primo, disarmonici il secondo; Picasso ha scatenato una fantasia feroce e senza limiti con il pretesto del recupero di impulsi infantili e primordiali, soprattutto nella fase più matura, quando poteva permettersi qualunque licenza per la fama raggiunta; Van Gogh ha profuso poesia intensa permeata di cultura pittorica in uno stato di alterazione abbagliante derivato dalla schizofrenia (che i tratti irregolari e spigolosi del disegno denunciano); gli scultori medioevali, come Antelami e Wilighelmo, e i cosiddetti pittori primitivi del Duecento e Trecento che ricalcano le forme bizantine, sono artisti di scuola la cui definizione è suggerita da interpretazioni storiche. Ma i veri naïves sono appassionati senza dottrina o quasi, che qualche volta hanno trasceso il dilettantismo dedicandosi completamente all’attività preferita. I più significativi in questo senso, fra quelli che hanno conseguito la notorietà, sono stati Rousseau il Doganiere, il croato Generalic capostipite di uno stile molto imitato (con epigoni il più delle volte banali e infelici) e lo stesso Ligabue. Il Doganiere, favorito anche dai contatti di alto livello nella Parigi del tempo, è il più titolato e forse il più grande di tutti i naïves. Ma che fosse un individuo semplice, candido e sprovveduto, oltre che dalla sua pittura, si evince dalla celebre confidenza a Picasso, che ne rise di gusto: "Noi siamo i migliori, tu nel genere egiziano, io nel moderno".

Erano sulla stessa linea gli artigiani folk o rurali dei paesi anglosassoni del Sette-Ottocento, con le loro ingenue, accurate, accattivanti riproduzioni di tori e vacche, pecore di razza e altri animali campioni dei mercati, corredate di un bel paesaggio agreste come sfondo. Vera, elegante opera d’arte naïf (mia preferita in assoluto) è il ritratto di bambina vestita di rosso con cagnolino ai piedi (del ritrattista itinerante Ammi Phillips, dipinta in Connecticut nel 1835) al Terra Museum di Chicago, una variante del quale (con gatto aggiunto) è all’American Folk Art Museum di New York; entrambi i dipinti richiamano in versione "arte popolare" il bambino regale abbigliato di rosso di Goya (Manuel Osorio de Zuniga, Metropolitan Museum di New York). Negli Stati Uniti queste forme d’arte sono apprezzate e considerate parte della storia culturale del paese: numerosi ritratti in questo stile di persone e animali – eseguiti nei secoli passati da pittori popolari che giravano abitazioni di città e fattorie in cerca di commesse – hanno spazio, appunto, in musei importanti, oltre che nelle collezioni d’arte o nelle case di campagna di ricchi americani.

Il bello dei quadri naïves, popolari, folk più riusciti, sta nella loro spontaneità e freschezza, nel loro vigore non mediato. Ligabue, personalità psicotica e disadattata, trasmette una carica in alcuni casi, certo, eccessivamente infantile, ma in altri – come nei dipinti più cupi, di timbro scuro, verosimilmente i più evoluti nel suo percorso (mancano le date nelle opere in mostra) – capace di comunicare una visione magica di fantasia immacolata.

Ė verosimile che non siano mancati i falsi in un’operazione con aspetti mercantili quale è stata la valorizzazione di Ligabue: del resto, la qualità diseguale di per sé indotta dall’umore instabile del pittore favorisce una confusione di lettura, accreditando i falsari. In questa esposizione, però, non sembra di notare ruvide disomogeneità di livello e di stile. Le opere sono state scelte benissimo.

In una vasta area padana intorno a Gualtieri – suo paese di adozione – negli anni seguenti al successo e alla popolarità di Ligabue, sulla spinta dell’interesse e dell’apprezzamento del pubblico, la pittura di tendenza naïf fu praticata da altri con ottimi risultati: ho trovato qua e là in Emilia, presso rigattieri, sapide gallerie senza pretese e negozi vari (e collocato nelle camere delle mie figlie allora piccole), dipinti d’atmosfera silvestre di un certo Fieramosca, misurati disegni e incisioni (animali da cortile, casolari e chiesette) di Pierino Ferrari, e un gatto inarcato dell’ormai famoso Pietro Ghizzardi, scrittore bizzarro oltre che pittore. Sono piacevoli e hanno senz’altro il pregio non piccolo di comunicare buonumore.

 


Francesco Dallera

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