Pittura italiana del XX secolo

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Dei pittori consacrati, alcuni proprio non mi piacciono: trovo fuori posto la loro fama. Non seguo un ordine storico o cronologico, cito come mi vengono in mente alcuni pittori ben inseriti nel mercato. Vediamo tra i più noti degli italiani del XX secolo.

Guidi, già minore nella fase novecentista, tocca il ridicolo nella semplificazione tonale delle innumerevoli isole di S.Giorgio e marine veneziane. Chi mai acquista quadri simili ai prezzi che il mercato propone? Una schematizzazione-stilizzazione un po’ più articolata ma di esito comunque povero e troppo ripetitiva è quella di Tozzi, i cui dipinti novecentisti erano però belli e di bel colore. Il rosso-bruno-mattone caratteristico ha molto sapore ed è regolarmente ripreso nei quadri dell’ultimo periodo. Ripetitivo e stucchevole per me è anche il super-osannato e sopravvalutato Campigli. L’idea delle donne egizie con gli occhioni, la stesura come un vecchio affresco, buone per qualche dipinto, se ripetute all’infinito, dimostrano solo che il pittore ha una fantasia limitata. Fantasia limitata anche per Morandi: i suoi finissimi equilibri tonali e giochi di ombre sembrano riportare a un mondo tranquillo e migliore, ma, Morandi, come ha potuto non annoiarsi a fare tutti quei quadri con le stesse suppellettili? Non penso che mi sarei divertito in una vacanza con lui (anche dalla firma si capisce, confrontatela con quella di Picasso), tuttavia un’opera di Morandi in casa mi piacerebbe, di Tozzi no, di Guidi men che meno.

Funi, Borra e compagnia bella mi interessano poco; fra i novecentisti, quello che preferisco è poco conosciuto: Cagnaccio da San Pietro (uno pseudonimo di Natale Scarpa), iperrealista, lucido e originale, per soggetti e rigore stilistico. Si è fatta di recente una sua mostra; un suo bel dipinto è alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. In una posizione un po' laterale a Novecento, Arturo Tosi: con modi tradizionali eppure sottilmente personali, mi piace sempre per la sua eleganza. Nonostante la qualità alta, non è considerato un grande, forse perché associato al regime troppo strettamente. Stesso ostracismo ha colpito nel dopoguerra Sironi, pittore di statura internazionale fuori discussione.

De Chirico è assolutamente unico e coltissimo, per quanto presuntuoso, ma i suoi dipinti sono pesanti, nel senso che ha dato Kundera alla distinzione leggerezza-pesantezza nel suo famoso romanzo. Pesanti ma originali i metafisici (male imitati da Carrà), pesanti e basta quelli neo-barocchi, raramente degni di nota. Più leggero il fratello Savinio, tra l'altro grande critico musicale (La scatola sonora), con le ironiche figurazioni zoomorfe di alto livello stilistico.

Pesantissimo e anche (pittoricamente) volgare, chiassoso, Guttuso. Dove sarebbe arrivato se non fosse stato sostenuto dalla cultura egemonica prevalente in quel periodo? Oltre allo scarso apprezzamento del suo stile greve, un motivo supplementare epidermico che me lo allontana è il sedere piatto e largo che ricorre in tutti i suoi nudi femminili, a quanto si può capire riproduzione di quello della sua compagna-modella. Poteva, con vantaggio di tutti, essere meno fedele nella riproduzione e migliorarlo leggermente. E che strada avrebbe fatto il naive – amante del brutto e grinzoso – Migneco senza l'appoggio della sinistra culturale?

Positivo il pathos che mi trasmette Gentilini, sempre ispirato a un surrealismo di buon garbo, legato a Klee. Il più bello dei suoi quadri da me visto è un notturno di formato medio-piccolo, in un galleria di Cortina: una magia del quale ricordo la presenza aerea di fili (della linea elettrica?) illuminati.

Il più giovane Rognoni deriva, come gusto, ancora più vistosamente da Paul Klee. Rognoni è un vero poeta, delicato e misurato. Le sue Venezie sono tra le più belle della pittura e, nonostante la trasposizione libera di forme e colori, tra le più fedeli, degne di stare fra le vedute del Settecento.

Mi piace molto Mattioli, originale e affascinante: oscilla fra gusto della materia pittorica e poesia della figurazione. Ripetitivo e discutibile solo negli alberi solitari, meglio con i gialli che con il rosso vivo.

Il più grande forse tra i figurativi, è ai miei occhi De Pisis. La sua pittura tratteggiata è superlativa nei paesaggi e in certe nature morte, ancorate a una tavola e una tovaglia, con oggetti luccicanti, bottiglie o bicchieri. Meno mi piacciono quelle spaziose che sembrano riprese da un grandangolare (ripresa tuttavia singolare, unica nella pittura: ce ne è una a Brera, La pavoncella) e meno ancora le figure (soldatini ecc., condizionati dalle sue ossessioni sessuali). De Pisis ha, ovviamente, visto ed elaborato nel soggiorno a Parigi, gli Impressionisti, ma, se prescindiamo dai meriti storici, lo preferisco a tutti loro. Preferisco una bella Parigi di De Psis a quasi tutti i Monet. E, a fianco di un De Pisis vero (vedere la Galleria Rimoldi di Cortina, i cui dipinti sono certamente autentici e tutti di qualità) cosa sembra un roseo Renoir? Sguaiato e goffo esempio da non seguire e invece seguito da infiniti emulatori dilettanti. De Pisis tratteggia e diluisce i suoi oli usando il pennello come una matita disinvolta, ha osservato gli Impressionisti francesi senza copiarli e ha assorbito da lontano l’eleganza veloce di Francesco Guardi, se ne infischia di tutte le mode e non ha la leziosità manierata dei post-impressionisti francesi (Bonnard, Vuillard). È un artista. Purtroppo è facile da imitare (superficialmente) e ha dato adito a un’infinità di falsi, così che molti "suoi" quadri nelle gallerie non sono suoi.

Fra gli informali, Burri è un caso a parte, di statura superiore, Meno mi piace Fontana, esaltato a livello internazionale ma troppo semplice..Degli altri, mi limito a citare il migliore e il peggiore. Afro, il migliore, raffinato, sottile, colori e linee piene di garbo e di poesia, a livello di Pollock ma su un versante europeo colto, meno istintivo e più meditato. Afro, Pollock e Fautrier sono i tre più grandi informali (non considero informale Dubuffet, che è piuttosto definibile come uno pseudo-naive pieno di talento fantasioso). Il numero due italiano in ordine di importanza artistica, è, nella mia personale classifica, Santomaso, lirico e sensibile, un poco più rigido di Afro. L'ultimo, invece, la mia maglia nera, è Schifano, prevalentemente informale anche se allacciato per lunghi periodi alla pop art figurativa (ha rappresentato qualche distributore di benzina): trovo falsa la sua fama, insopportabile il battage critico in suo onore. Una critica pressante così smaccatamente lusinghiera si espone al sospetto di essere artificiale e finalizzata al mercato. Molti dipinti, macchie senza finezza grafica o coloristica, facilissime da contraffare, sembrano, a un ingenuo come me, appunto, falsificati, con profitto enorme date le quotazioni. Mi pare, del resto, che di tanto in tanto, una quantità di opere sia smascherata come non autentica dalle forze dell'ordine. La lettura delle opere informali e astratte ha come soli elementi guida la sensibilità e la consuetudine alle arti visive: non è difficile far credere che un ammasso casuale di colori sia arte.

 


Francesco Dallera

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