Pitture Preistoriche

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Le più belle pitture preistoriche sono concentrate in una limitata regione sui due versanti dei Pirenei, in Francia e nella Spagna atlantica, sulle pareti di grotte calcaree. Le grotte di Altamira, le prime scoperte e più note (in Cantabria, "la Cappella Sistina dell’Era Glaciale") e quelle di Lascaux, in Dordogna, sono visibili soltanto con permessi e prenotazioni di anni, perché l’anidride carbonica del respiro dei visitatori le stava distruggendo. Sebbene gli ambienti più significativi siano stati ricostruiti con copie fedeli dei graffiti e dei dipinti, vedere gli ambienti originali, almeno sul piano emozionale, è un'altra cosa. Invece si possono visitare le grotte di Niaux, nei Pirenei francesi, vicino a Foix, non lontano da Andorra. Ė più prudente prenotare, ma in giorno feriale si riesce ad entrare anche senza preavviso, con un’attesa di una o due ore, a gruppi di venti persone per volta. A ciascuno è fornita una torcia a batteria e conviene portare pullover e giubboni anche d’estate, perché il giro dura un'ora e mezza e le viscere del monte sono fredde. A quanto pare, gli uomini del Paleolitico vivevano nella parte più esterna delle caverne e si addentravano per lo scosceso cammino di corridoi e cunicoli, fra concrezioni lucenti e stalattiti, alla luce di torce, fino ad anfratti più spaziosi, solo per celebrare qualche sorta di cerimonia collettiva religiosa o rituale.

Proprio in questi saloni naturali e impervi, i pittori preistorici, per loro iniziativa o incaricati dagli sciamani, eseguivano le loro opere – si pensa – con una funzione magica, propiziatoria della caccia, piuttosto che con finalità artistica, spesso in posizioni scomode, sdraiati o arrampicati sulle rocce; eppure mostrano un modo di sentire, una fantasia, un senso dell’interpretazione, un gusto del bello che hanno molto da condividere con la concezione dell’arte che abbiamo oggi. Seguire il loro stesso percorso, con la luce fioca delle proprie lampade, per ottocento metri, e raggiungere la visione delle bellissime pitture, che sappiamo compiute quindici-ventimila anni fa, straordinarie creazioni di uomini che usavano solo pietre scheggiate come utensili e armi, ma già avevano questa sensibilità propriamente poetica, appare come una formidabile contraddizione, un segno della dissociazione evolutiva della mente umana ed è un’emozione completamente diversa che guardare riproduzioni. Bisonti, cervi, cavalli barbuti dei Pirenei con un simpatico muso, sono illuminati a uno a uno dalla torcia della guida, che ci ha pregato di spegnere le nostre, in una sala larga una ventina di metri e piuttosto alta.

Le pitture sono quasi tutte solo profilate, in ogni modo soltanto nere; non sono ricche di colore come quelle dei bisonti e dei cervi di Altamira, che hanno il corpo di un bel rosso mattone, in una tonalità vicina al carboncino-sanguigna Condè. A Niaux, vi sono tracce di rosso solo su una roccia cento metri prima della sala principale, in una rappresentazione di grafismo astratto misterioso e certo espressivo di qualche volontà comunicativa, che potrebbe essere un prodromo o abbozzo o tentativo di scrittura.

Vi sono elementi comuni fra le pitture rupestri dei vari luoghi pirenaici: ma la datazione precisa è difficile, le ricostruzioni sono approssimative, gli influssi delle culture di diverse popolazioni mal decifrabili, come i loro spostamenti. Forse si è trattato di epoche in realtà abbastanza diverse, annegate in un’apparente contemporaneità dalla distanza temporale e dal comune termine di paleolitico superiore; per esempio, due o tremila anni potrebbero separare i bisonti di Altamira da quelli di Niaux, e così si spiegherebbe la tecnica più complessa e l’esecuzione più raffinata dei primi, che sono anche di dimensioni maggiori (una cerva ad Altamira è lunga due metri); oppure, se il periodo è lo stesso, forse le "scuole" erano diverse; o singoli pittori erano diversamente orientati, o con differente genialità: un Picasso cavernicolo in Spagna, un Matisse suo inconsapevole corrispettivo nelle grotte francesi. (A proposito di Picasso, durante l’infanzia è stato per un certo tempo in Galizia, dove il padre insegnava disegno: avrà visto e assorbito il messaggio della vicina Altamira? Non ho mai letto nulla intorno a questo nelle sue biografie. Di sicuro i suoi disegni di tori ricordano molto quelli preistorici e una certa sua maniera nella stesura di tanta produzione grafica, che si sia trattato di pura casualità, di influenza visiva diretta o di remota conservazione genetica – improbabile ma suggestiva, a seicento generazioni di distanza – ha molto in comune con quella dei suoi antenati pittori di Altamira. Un bisonte con gli occhi entrambi da un lato del muso, sovrapposti, sembra proprio fatto da Picasso). Gli artisti dell’Era Glaciale usavano come pennelli piccoli fasci di peli o pezzi di cuoio morbido e diluivano i pigmenti – sali di ferro per il rosso e l’ocra, di manganese per il nero – stemperati in grasso animale.

Si servivano di carbone per l’abbozzo del disegno. Comunque gli animali di Niaux, come quelli di Altamira e di Lascaux, sono tracciati con linee decise, da disegnatori abilissimi, e destano ancor più meraviglia se si pensa alle condizioni difficili dell’esecuzione, senza il modello davanti, con illuminazione incerta e in posizioni disagiate. Le tecniche sono, in qualche caso, ingegnose e sapienti: c’è uno stambecco con quasi tutto il corpo nero ma la pancia lasciata del colore naturale della roccia e le corna a strie oblique alternate con moderna disinvoltura ed effetto insieme decorativo e realistico; alcuni dettagli, come la testa e le zampe, sono qua e là ripetuti in posizioni diverse sopra o accanto al disegno compiuto: senza voler penetrare i motivi di queste sovrapposizioni, l’effetto ai nostri occhi è simile a quello di certi studi rinascimentali o moderni, con sdoppiamenti intesi a perfezionare il risultato ("pentimenti") e a volte sembrano suggerire il movimento. Al primo impatto si stenta a credere che le opere risalgano all’età della pietra e si può comprendere lo scetticismo dei primi studiosi del secolo scorso, che considerarono le pitture di molto più tarde o, addirittura, falsificazioni.

E si può immaginare lo stupore del primo esploratore di Altamira: durante la seconda visita, quando non si erano ancora scoperti i dipinti, si porta la figlia bambina nelle grotte ed è lei, guardando in alto, a vedere la prima figura sulla volta. La fantasia mi si è molto accesa alla vista di queste pitture dopo tre quarti d’ora di percorso nel cuore di una montagna, al buio. Una moltitudine di pensieri, di immagini, di ipotesi e di domande mi ha affollato la mente e mi ha preso una curiosità completamente diversa da quella piuttosto fredda che di solito provavo alle letture sull’uomo preistorico, sulla sua lenta evoluzione e sulle teorie che lo circondano. Alla vista delle loro pitture che hanno il dono, il soffio dell’arte, i miei antenati sono diventati presenti e le notizie su di loro hanno preso vita. Erano – a quanto si ricostruisce dai resti dell’uomo di Cro Magnon – che è considerato il tipo già fissato evolutivamente di homo sapiens, e corrisponde ai nostri antenati pittori – di grande corporatura, come scandinavi, con un cervello più grosso dell’uomo attuale (erano potenzialmente più intelligenti? Si saranno deteriorati nella forza fisica e nell’intelletto puro, mentre si sviluppavano culturalmente verso quello che siamo?), seppellivano i loro morti, cacciavano – carnivori convinti com’erano – bisonti e mammut con l’inganno, praticavano forse (purtroppo, per la simpatia che ho per loro) sacrifici umani, sebbene le incertezze preistoriche lascino uno spiraglio per non crederci.

Come avranno parlato fra loro, quale sviluppo avrà avuto il linguaggio quindici o ventimila anni fa? Avranno avuto un’idea della musica, del canto, della danza, mentre scheggiavano i loro strumenti di pietra e accendevano i loro fuochi primitivi? Come avranno corteggiato le loro donne? Trascinandole per i capelli o con argomenti più ricercati? I preliminari sessuali saranno stati elementari – del tipo mordere sul collo, come i gatti – o già qualcosa di più elaborato? I cugini, uomini di Neanderthal, che al momento dei dipinti rupestri si stavano estinguendo, ammesso che non fossero ormai scomparsi (soppiantati dagli uomini di Cro Magnon che avevano maggior intelligenza, migliore adattamento e forse erano arrivati in Europa dall’Africa passando per l’Oriente, piano piano, nei millenni), erano più tozzi di noi, più pesanti, con ossa sopraorbitali pronunciate, più scimmieschi secondo i nostri parametri, con un mento sfuggente perché la mandibola era esigua, eppure con un cervello (anche loro) maggiore di quello di oggi; si servivano del fuoco, seppellivano i morti, ma non spazzavano le caverne accumulando detriti camminandoci sopra.

Avranno posseduto un linguaggio? Quasi certamente sì, anche se più rudimentale, giudicando i reperti fossili dei crani e ricostruendo virtualmente gli organi della fonazione. Avranno avuto scambi sociali con i Cro Magnon? Ė molto probabile, come attestano i reperti di oggetti ornamentali, ed è verosimile anche qualche contatto genetico, qualche caso di meticciato (potremmo avere qualcosa del loro sangue in noi). Sopraffatti in Europa, scomparsi nel giro di qualche millennio dopo trentamila anni o più di prosperità, gli uomini di Neanderthal – come suggerito da qualche ritrovamento – sarebbero sopravvissuti – secondo alcuni studiosi – molto più a lungo in Africa e in Oceania. Mentre noi avremmo una remota origine africana, le attuali razze negroidi e australoidi potrebbero provenire – secondo la stessa teoria – da una variante del neanderthaliano. (Tuttavia l’opinione è controversa e prevale l’idea che il Neanderthaliano sia solo europeo, si evolva in Europa da un antenato comune e non si espanda oltre il Medio Oriente).

Tutto è confuso, i reperti sono frammentari e ogni ipotesi che uno studioso autorevole proponga, può essere buona. La scrittura era ancora lontana e la tradizione orale, a seicento o più generazioni di distanza, si è perduta come un granello nell’oceano.

Per ora, chiunque sia affascinato dall’argomento, può costruire le sue teorie personali senza essere smentito.

 


Francesco Dallera

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