Racconti | |
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Anche Il mio vecchio mi è sempre piaciuto. Ė inclinato verso un certo sentimentalismo, ma avvolgente e pregiato, un grande racconto. Amo questo racconto anche perché si svolge per buona parte a Milano, intorno a S. Siro. Per un quasi milanese, un racconto di Hemingway giovane su S. Siro com’era al tempo, con i cavalli, i tram e i buoi per la strada e la nebbia, ha un fascino potente. Lo stesso Hemingway, parlandone in Festa mobile – libro di gossip da zitella ma pieno di notizie di prima mano della Parigi anni venti e in cui l’autore si lascia andare alla rivelazione dei suoi gusti letterari e artistici e a confidenziali commenti sui personaggi importanti dell’epoca – ha reso prezioso questo racconto avvalorando una leggenda suggestiva. Rivela infatti che, fra quelli scritti da giovanissimo, fu uno dei due (l’altro: Su nel Michigan) a salvarsi dal furto, alla Gare de Lyon, di una valigia che conteneva sia gli originali che le copie dattiloscritte. I due soli superstiti erano stati tolti dal pacco e mandati uno a un giornale e l’altro a Gertrude Stein. Che si tratti di verità o furberia civettuola, è comunque un alone suggestivo e, dato che Il mio vecchio ha una sua peculiarità giovanile, è credibile. Non so quanto valore sostanziale e quanto di ricordo adolescenziale ci sia nel piacere che sempre riprovo a rileggere Hemingway (a piccole dosi): fa parte del mio primo bagaglio letterario, appartiene alle mie scoperte da ragazzo. Ma, se il fascino dei romanzi si è in parte logorato, quello di alcunii racconti è intatto e fresco. Di Cechov, grandissimo scrittore di novelle, con lo sfondo di povertà e squallore della Russia zarista (cui l’autore non concede però intemperanze lacrimevoli), una sorprendentemente umoristica, strepitosa, è Un’opera d’arte. A intervalli di qualche anno, la rileggo. La vivacità del ritmo e il dialogo sono del massimo livello, il crescendo dell’effetto comico è formidabile. Ridendo forte da solo, quando le mie figlie erano piccole, suscitavo ogni volta la loro sorpresa: la loro espressione diceva che mi prendevano per matto. Mi piacciono, più delle altre opere di Moravia, i Racconti romani. Hanno una pregevole uniformità di stile, si calano bene nella prima persona dei romani di borgata; non risultano mai falsi, nonostante la finzione dell’ambiente sottoproletario, e molti sono suggestivi e toccanti. Il più profondo e bello è Scorfani: esprime uno stato d’animo che assurge a valore simbolico, una consacrazione letteraria estremizzata della forza dell’innamoramento, cui il travestimento pauperistico, senza essere stonato o falso, dona un connotato commovente, efficace e, nello stesso tempo, ironico, elegante. Difficile scegliere fra i numerosi racconti gustosi di Piero Chiara, a torto considerati "minori". La capacità di trasmettere buon umore e comunicare per contagio un modo sereno di affrontare, nella vita, anche i momenti avversi, non sono "minori". Chiara parla di piccole cose di un ambiente provinciale, con linguaggio da raffinato letterato, non aulico, ma di una ricchezza lessicale quasi barocca, tutt’altro che scarno eppure spigliato; ha anche il merito di elevare il territorio luinese e tutti i paesi intorno al lago Maggiore, a luoghi letterari: è uno dei pochi cantori lombardi della provincia, e i suoi geni a metà siciliani conferiscono una nota speciale, un distacco più sapido alla sua osservazione. Il sapore che trasmette fa nascere il desiderio di visitare i luoghi, conferisce loro un alone che certo ora, anche a causa dell’edilizia selvaggia, gli stessi luoghi non hanno più. Poeta dei battelli, del lago e dei suoi personaggi, Chiara ha scritto anche bellissimi racconti che hanno come sfondo la Svizzera, ben conosciuta per frequenti escursioni e per il "soggiorno politico" (è stato esule volontario) durante la guerra. La corobbia (nella raccolta L’uovo al cianuro) è un esempio della sua capacità di pensare serenamente e con umorismo a momenti difficili: il ritratto graffiante ma, in fondo, privo di rancore, del capo guardia del campo e il rapporto affettuoso e quasi complice con i maiali, sono indimenticabili. Bellissimo anche Il patrizio di Pfaffikon (ancora ne L’uovo al cianuro), dove descrive un chirurgo svizzero famoso ("estraeva milze ai principi"), che sta diventando suo suocero, impeccabile e perfetto nel portamento aristocratico, nello humour di circostanza sul matrimonio e perfino nel reggere impassibile, a tavola, grandi quantità di vino (pregiato, regalo a sua volta di un facoltoso paziente e portato da lui stesso nella borsa da dottore vecchio stile,"simile a un cane bassotto"). Racconto speciale è Sotto la sua mano (nella raccolta Tre racconti), una finta ricostruzione storico-filologica nella quale si esalta il gusto dell’autore per la ricerca di biblioteca, irresistibile invenzione, credibilissima nel suo prendere forma, secondo cui la testa del gigantesco S.Carlo di bronzo di Arona sarebbe fusa nientemeno che con il glande del Colosso di Rodi.
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Francesco Dallera |