Schiele

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Nonostante abbia avuto grandi mostre, monografie ponderose di studiosi importanti, adeguato spazio nei musei – soprattutto a Vienna – e valutazioni di mercato vertiginose, penso che Schiele, come artista, sia ancora nettamente sottovalutato. Molti attributi che abitualmente gli vengono assegnati sono, in realtà, paurosamente riduttivi. Secessionista, espressionista, allievo di Klimt, inquieto, carattere morboso, morto giovanissimo. Tutto tende ancora – troppo vicino è il tempo – a riportarlo a una realtà contingente che anziché onorarlo lo rende meschino; molti elogi lo sminuiscono ove sembrano esaltarlo. Nessuno calca la mano sulle miserie umane di Michelangelo, nelle sue debolezze per i suoi giovani modelli, sull’ossessione per la virilità muscolosa, nessuno evoca i probabili pettegolezzi di cui fu vittima da benpensanti che, per essere perfetti conformisti, certamente si sentivano superiori, nessuno sottolinea troppo o rende in piena luce la drammatica vita di barbone sporco e litigioso (fino all’assassinio) del Caravaggio, e, sebbene più nota, l’omosessualità di Leonardo è vista in chiave di aristocratica stravaganza piuttosto che punteggiata dalle concessioni eccessive a tirannici allievi di scarso genio, come si intuiscono dal diario e dai documenti. I grandi artisti spesso sono vittime di nevrosi tremende e hanno acuito la sensibilità e l’arte proprio per effetto di questa pressione. Chi è lontano nel tempo, acquista un’aura di leggenda che nobilita tutto, chi è vicino cade nella lente di una valutazione più misera. C’è qualche eccezione: Picasso – che è diventato leggenda in vita ed ha avuto una sorte critica fortunatissima perché, come pittore, è più clamoroso e più facile – era crudele, egoista e sopraffattore, enormemente geniale ma più capace di ferire che di essere ferito dalla realtà.

Schiele era un giovane ansioso, colto, lacerato da un ambiente famigliare borghese segnato dalla follia progressiva del padre (che bruciò prima di morire tutte le azioni e obbligazioni di sua proprietà nel camino), in una società, quella viennese della decadenza, piena di fascino e di prodotti culturali (Roth, Musil, la psicanalisi di Freud), ma con i caratteri psicologici dello sfacelo di un mondo. Ė stato un grande pittore e uno dei più grandi disegnatori di sempre. Nessuno ha disegnato meglio di lui, se consideriamo le sue opere dopo il 1910 (dunque dalla sua età di venti anni), includendo però il magnifico girasole verticale datato di solito al 1909 – che ha già invece il rigore stilistico ormai sicuro e assente nei quadri precedenti – in una combinazione di eleganza, tensione, espressività drammatica. Dove al disegno si aggiunge il colore, che sia olio o acquerello, il colore non toglie nulla, non attenua, ma anzi aumenta la forza del messaggio artistico. La sua adesione a una figurazione quasi tradizionale, è un modo per essere ancora più moderno; perché Schiele ha bisogno della figura umana o della traccia del paesaggio per esprimere il suo grido; ma le linee segmentate in un’armonia sui generis, i colori sporchi e contrastati, i bianchi-grigi variegati, le sfumature rossastre della pelle (già suggerite da Klimt che, su un differente registro, con altro umore e diverso approccio alla vita, più sereno, le affiancava ad arabeschi di elegantissima frivolezza), non hanno nulla di convenzionale: sono rivoluzionari e pieni di profondità e di meditazione esistenziale sia nei soggetti erotici, che nei paesaggi e nei ritratti. Nella forma, giudicata superficialmente, non si discosta dalla tradizione figurativa e può essere collocato come appartenente al movimento secessionista e, per altro verso, nell’ambito generico dell’Espressionismo; nella sostanza della sua arte, però, è unico e le appartenenze sono solo storiche, di ambiente, giustificate dalla comodità di riferimento (anche se l’influsso di Klimt è stato effettivamente fortissimo). Le sue figure ben disegnate confondono forse chi lo guardi da un’ottica tradizionale, senza sintonia di spirito: possono indurre a considerarlo un secessionista irrequieto o un espressionista più ancorato degli altri al disegno dai contorni nitidi, ma, al di là di qualche accostamento stilistico, Schiele è, più di tutti, un gigante della poesia tragica. Nemmeno il grande Grunewald dell’Altare di Insenheim, gli è pari come pittore tragico di ispirazione gotica; Schiele ha qualche punto in più in eleganza di linee ed è più composto pur senza diluire e smorzare il dramma. Vedo parentele e caratteri ispiratori comuni con Cosmè Tura, più che con chiunque altro, e rassomiglianze – almeno nella nitidezza e sicurezza dei contorni in permanente tensione – con Durer. Considero Schiele il più grande fra i pittori del filone gotico (anche se qualche Solone della critica ha sentenziato: "Non è un pittore gotico"), filone che percorre trasversalmente – per usare un termine alla moda – tutta l’arte nei secoli successivi, al di là delle classificazioni scolastiche e storiche. Ed è, ai miei occhi, uno dei più grandi pittori in assoluto, degno di qualsiasi paragone. La sua forza di artista esce ancor meglio dai confronti: a Vienna, in una visita di qualche anno fa alla "Galleria austriaca" del Belvedere, dopo i bellissimi quadri di Schiele, ho visto una raccolta di capolavori impressionisti che vi era ospitata: mi sono sembrati frivoli, ruffiani, molli ed inutili; nel contrasto, erano sopraffatti.


Francesco Dallera

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