Schiele 2

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La mostra di Lugano 2003 è occasione per qualche riflessione ancora su Schiele.

Nessun dubbio che Schiele sia uno dei più grandi disegnatori della storia dell’Arte. Se facciamo una classifica per talento naturale, sicurezza, naturalezza della riuscita, felicità nella resa delle intenzioni, comunicazione attraverso la linea, solo il Durer delle incisioni gli può essere paragonato come puro disegnatore. Anche Michelangelo era un immenso disegnatore, anche Leonardo, anche Raffaello: ma il senso di imperiosa necessità del tratto, quasi di propulsione da parte della linea, in Schiele è unica. Il Van Eyck di alcune punte d’argento trasmette un senso analogo di perfezione del disegno rispetto alla volontà artistica, ma si tratta di pochi esempi. Nel IX secolo Modigliani e Klimt sono stati disegnatori sommi, però Schiele col solo disegno ottiene di più. Se consideriamo tutti i pittori conosciuti in Occidente, non fanno errori di disegno Caravaggio, ammirevole e potente anche in costruzioni difficili (se escludiamo qualche difetto nei volti triangolari disposti obliquamente) e Holbein, ma la loro misura è del tutto funzionale alla pittura, così che non viene naturale pensarli come disegnatori. Tiepolo e Hokusai sono gli ultimi maestri della linea che mi vengono in mente fra i massimi. Rembrandt e Goya sono grandissimi, ma badano più all’effetto che alla linea di contorno e non importa loro qualche errore di costruzione. Picasso ha un disegno brillante e fantasioso, ma lavora sul brutto e, pur nella sua padronanza, pur molto dotato, non è maestro di linee quanto gli artisti elencati. Anche la sua fama di disegnatore ha beneficiato dell’inappellabile etichetta di mostro sacro.

Nello stile, che si può pienamente considerare gotico (della più pura tradizione gotica nordica prima ancora che espressionista), Schiele ricorda nella rappresentazione contorta delle linee, Cosmè Tura e Grunewald, ma, se ci sbarazziamo del rispetto per gli antichi maestri e riusciamo a giudicare comparativamente stili di secoli così distanti, dobbiamo ammettere che in assoluto è forse superiore a entrambi per coerenza: se mi si concede l’ossimoro, le sue deformazioni sono più naturali. Il suo è un disegno intenso, drammatico, internamente movimentato, fedelissimo ma non fotografico; ritrae figure in scorci difficili, pose strane eppure di grande effetto emozionale; è virtuosistico ma non nella direzione frivola, svolazzante, superficiale, manierata e inutile – diciamo – di Boldini, ma, piuttosto, sostanziale e trattenuto al servizio di una superiore poesia tragica, elegantissimo, ma denso e commosso, teso a una costante lettura della condizione umana. La tipologia fisica è quasi sempre di figure magre e la resa della muscolatura e dell’ossatura, ottenuta con tratti spigolosi e raffinati, in un alternanza di particolari fedeli e iperbolici, in un’ottica a volte grandangolare, sottende una conoscenza eccezionale dell’anatomia, un dominio che permette semplificazioni e arricchimenti, in una suprema stilizzazione di sapore gotico. Dunque disegnatore eccelso, a nessuno inferiore; ma anche colorista portentoso, sia nelle tempere o negli acquerelli – di solito quasi monocromi, o circondati di biacca – sia negli stupendi oli, dove, in una sintonia straordinaria, alla vibrazione dei contorni, si accompagna la vibrazione della superficie cromatica, percorsa dai pennelli in modo singolare, con colore a effetto sporco e peculiari rigature, forse ottenute schiacciando molto il pennello o graffiando la superficie dipinta con la coda di legno. La capacità di trasmettere sentimento drammatico eppure suadente è ancor più singolare nei paesaggi (nelle figure è più facile accettare un messaggio emotivo, più facile trasmetterlo, perché è più logico e abituale aspettarsi sentimenti dai volti o da figure animate). La cosa sorprendente in Schiele è che anche attraverso una casa o un panorama urbano (o un girasole, o una natura morta) riesce a darci un’inquietudine poetica e un senso della vita profondo. È curioso confrontare i paesaggi dipinti con le fotografie prese nella stessa inquadratura (sono comuni questi confronti nei cataloghi e nei libri sul pittore): pur esattamente fedeli, i dipinti ne traggono fuori l’anima, fanno vivere quella visione. Sono rari nella storia dell’Arte i quadri di paesaggio che trasmettono un messaggio filosofico: Schiele ha una capacità di introspezione che sembra penetrare alberi, campagne, edifici, come se ne catturasse l’anima. (Questa stessa sensazione, di commovente intensità, danno le opere di Pieter Bruegel il Vecchio.)

 

Anche se rimane in un rigoroso canone figurativo ed è evidente una derivazione da Klimt – per cui, sul piano di un’osservazione superficiale, non si può includere fra gli innovatori delle Arti visive (persino troppi, del resto, nel Novecento) – , Schiele lavora all’interno delle figure e del colore con una modernità assoluta e tutta sua, e, se l’apparenza formale è quella di pittore nei modi tradizionali, nella sostanza è prodigiosamente nuovo. Ma tutte le considerazioni sono scavalcate da quella principale: la perfezione estetica delle opere. Del resto, essere innovatori nella forma non è tutto: Mozart è stato, in musica, assai legato alle convenzioni del suo tempo e nessuno ne discute il posto nella storia. Il disegno e il cromatismo di Schiele sono drammatici, inquietanti: eppure non sono mai sgradevoli: non si smette di guardarli, per come sono armonici. A differenza che in Van Gogh o, peggio, in Munch, l’ansia è da lui risolta in un esito di perfetta armonia, con segni e colori che, originalissimi, non hanno niente di approssimativo, niente di scombinato, niente di dissonante o disritmico. Per questa fusione magica di coerenza stilistica, originalità, forza tragica, armonia di soluzioni, qualità, talento percettivo, padronanza tecnica, meraviglioso risultato estetico, perfezione del dono di natura, espressività vibrante, modernità non clamorosa, non ostentata, giudico Schiele uno dei più grandi pittori di tutti i tempi. La scelta figurativa, a cavallo fra iperrealismo ed espressionismo (le pance segnate, le nocche colorate di rosso, pose contorte sono un potenziamento sui generis della realtà e lo stesso sono le colorazioni e le rigature vibranti dei paesaggi), in un secolo costellato da spinte formali audacissime, non permette di considerarlo il più rappresentativo fra gli artisti visivi del Novecento; tuttavia penso che sia il più dotato di potenza espressiva e il più commovente.

 

Come appassionato della sua pittura, ho molti libri pubblicazioni e cataloghi su Schiele, quasi tutti quelli che ho trovato. Il più bello, per essenzialità del testo, ricchezza di notizie e scelta di illustrazioni, è quello di Alessandra Comini, studiosa americana di nome e origini italiane, pubblicato da Thames & Hudson (IDEA BOOKS), 1976. L’edizione che ho io è una ristampa del 1986 (in inglese, ma stampato da una tipografia di Brugherio).

 

 


Francesco Dallera

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