Sono un appassionato di formaggi | |
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Quasi tutti i formaggi mi piacciono, ma alcuni sono entusiasmanti. Più di qualsiasi cibo, quelli stagionati e forti richiedono vino (o certe birre, almeno). Un pecorino piccante o un gorgonzola con l’acqua sono una stonatura molto sgradevole al palato. Sugli accostamenti ideali, c’è da sbizzarrirsi, ma gli esperti scelgono spesso per i formaggi maturi e saporosi vini speciali, Sherry o Porto o Sauternes. Fra Gorgonzola malghese, Stilton, Roquefort di latte di pecora e blu del Moncenisio è una bella lotta, una battaglia di sapori intensi sul cui primato la decisione è più difficile di quella di Paride. Si è diffusa la moda di combinare i formaggi con miele o ricercate conserve di frutta o verdura, a volte in abbinamenti astrusi. Io, fin da bambino, trovo eccezionale il semplicissimo accostamento tra crescenza freschissima e mostarda commerciale di ciliege. Provate. Per rimanere sul tradizionale, sono un classico da applaudire i pecorini con i pomodori conditi, la "raspadura" (grana giovane raschiato per ottenere sottilissime scaglie) con le noci, e il formaggio grigio del Tirolo con cipolle grosse ad anelli, olio e aceto abbondante (se ne neutralizza il sentore di stalla). Sono così amatore dei formaggi, che, fra i dipinti di nature morte, ho una predilezione per quei pochi, soprattutto fiamminghi, che li rappresentano: formaggi scuri benissimo dipinti, con i bucherelli ("occhiature") e le irregolarità di superficie della fetta da far venire l’acquolina in bocca. Meglio dei più comuni fiori e frutti; molto meglio dei conigli o selvaggina o pesci stesi senza vita sui tavoli. Dei pranzi, spuntini, cene, goduti in Francia, mi rimangono impressi, fra tutte le squisitezze che il paese offre sul piano gastronomico, specialmente i carrelli di formaggi e mi piace pregustare guardandolo il Saint Maure de Tourraine molto stagionato, caprino a piccoli rulli con crosta delicatamente ammuffita e pagliuzza al centro. La mia attrazione per i formaggi mi spinge a rinnegare il mio clichè incline all’intellettuale-idealista-senza pretese: di una esperienza per qualche anno come rotariano, a costo di sembrare "though minded", devo ammettere che ricordo soprattutto, fra tanti discorsi sui massimi sistemi e dotte relazioni, due magnifiche cene a base di formaggi condotte da un esperto del settore. Di sicuro non sono fanatico del bon ton, ma per i formaggi mi piace che sia rispettata la norma atipica e poco seguita di non adoperare forchette: più corretto ed elegante invece deporre con il coltello il frammento ritagliato delle dimensioni prescelte su un adeguato pezzo di pane (comprimendolo quasi a spalmarlo leggermente per deglutirlo con il pane se è formaggio morbido che lo consente, o appoggiandolo solo se è formaggio solido: usando cioè il pane con la sinistra, secondo i casi, come cucchiaio o come boccone solidale, in base alla durezza del formaggio o al gradimento di associarlo o meno al sapore del pane). In molti raffinati ristoranti francesi, si serve giustamente il formaggio con il coltello come unica posata. E i nostri cugini d’oltralpe, sulla valorizzazione dei loro prodotti, la sanno lunga. Come Proust – mi si scusi l’esempio di genere maggiore – allergico al pelo di cavallo, aveva le crisi d’asma al vedere fotografie o quadri di cavalli, così su di me, all’inverso, parole o figure evocanti il prezioso cibo hanno un effetto favorevole. Nei formaggi forti – si sa – ci sono sostanze che attivano mediatori chimici endocranici sul versante antidepressivo. Con certi farmaci antidepressivi ora pressoché abbandonati, non si dovevano mangiare Camembert o formaggi piccanti, pena effetti collaterali da interazione. Sul mio umore, non so se su base chimica o psicologica, l’effetto euforizzante del pecorino o dei formaggi stagionati e buoni è molto netto. Durante un tragitto estivo per la Versilia attraverso la Cisa, a causa del gran traffico prendo, qualche anno fa, la statale in alternativa all’autostrada; ma anche la statale è ingombra, così imbocco una via più piccola, che passa per strade secondarie dell’Appennino. Sono di pessimo umore per il ritardo e le code, ma vedo un cartello indicatore di una località o frazione con un nome curioso chissà a cosa dovuto: "Pecorini". Mi basta: rido, sono preso da vera allegria e cambio stato d’animo fino all’arrivo.
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Francesco Dallera |