Sono un appassionato di formaggi

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Sono un appassionato – diciamo così – di formaggi. Non quanto Casanova, che aveva iniziato a scrivere un trattato sui formaggi italiani, mai concluso, e nella prefazione alla Storia della mia vita dice di amare, come tutti i sapori forti, i formaggi "specialmente quelli passati, nei quali i piccoli esseri che li abitano cominciano a diventare visibili" (io non arrivo a tanto). Casanova, nelle pagine dove descrive il suo soggiorno a S. Angelo Lodigiano, nel castello diroccato dei Bolognini, annota che il vero (sic) "parmigiano" (formaggio grana) si fa a Lodi, il che ha suscitato polemiche e proteste da parte di Parma (sembra che la disputa sulla patria del grana italiano – Lodi o Parma – abbia imperversato fra gli specialisti per tutto l’Ottocento). A Lodi, città in cui vivo da anni, nonostante l’orgoglio per il formaggio grana locale sia molto sentito (c’è un "granone lodigiano"di antica tradizione, ora introvabile, che si diversifica anche dal "padano" convenzionale), nessuno fa mai riferimento a questa storica citazione, forse perché, come conseguenza della sua impronta clericale e curiale, la cittadina non vedeva di buon occhio l’avventuriero veneziano. Eppure, l’elogio da un così illustre personaggio, buongustaio, bon-vivant internazionale, a me sembra titolo assai qualificante, tanto che lo metterei sulle etichette delle forme pregiate, nella pubblicità dei produttori e negli opuscoli turistici che promuovono il territorio.

Quasi tutti i formaggi mi piacciono, ma alcuni sono entusiasmanti. Più di qualsiasi cibo, quelli stagionati e forti richiedono vino (o certe birre, almeno). Un pecorino piccante o un gorgonzola con l’acqua sono una stonatura molto sgradevole al palato. Sugli accostamenti ideali, c’è da sbizzarrirsi, ma gli esperti scelgono spesso per i formaggi maturi e saporosi vini speciali, Sherry o Porto o Sauternes. Fra Gorgonzola malghese, Stilton, Roquefort di latte di pecora e blu del Moncenisio è una bella lotta, una battaglia di sapori intensi sul cui primato la decisione è più difficile di quella di Paride.

Si è diffusa la moda di combinare i formaggi con miele o ricercate conserve di frutta o verdura, a volte in abbinamenti astrusi. Io, fin da bambino, trovo eccezionale il semplicissimo accostamento tra crescenza freschissima e mostarda commerciale di ciliege. Provate. Per rimanere sul tradizionale, sono un classico da applaudire i pecorini con i pomodori conditi, la "raspadura" (grana giovane raschiato per ottenere sottilissime scaglie) con le noci, e il formaggio grigio del Tirolo con cipolle grosse ad anelli, olio e aceto abbondante (se ne neutralizza il sentore di stalla).

Sono così amatore dei formaggi, che, fra i dipinti di nature morte, ho una predilezione per quei pochi, soprattutto fiamminghi, che li rappresentano: formaggi scuri benissimo dipinti, con i bucherelli ("occhiature") e le irregolarità di superficie della fetta da far venire l’acquolina in bocca. Meglio dei più comuni fiori e frutti; molto meglio dei conigli o selvaggina o pesci stesi senza vita sui tavoli.

Dei pranzi, spuntini, cene, goduti in Francia, mi rimangono impressi, fra tutte le squisitezze che il paese offre sul piano gastronomico, specialmente i carrelli di formaggi e mi piace pregustare guardandolo il Saint Maure de Tourraine molto stagionato, caprino a piccoli rulli con crosta delicatamente ammuffita e pagliuzza al centro.

La mia attrazione per i formaggi mi spinge a rinnegare il mio clichè incline all’intellettuale-idealista-senza pretese: di una esperienza per qualche anno come rotariano, a costo di sembrare "though minded", devo ammettere che ricordo soprattutto, fra tanti discorsi sui massimi sistemi e dotte relazioni, due magnifiche cene a base di formaggi condotte da un esperto del settore.

Di sicuro non sono fanatico del bon ton, ma per i formaggi mi piace che sia rispettata la norma atipica e poco seguita di non adoperare forchette: più corretto ed elegante invece deporre con il coltello il frammento ritagliato delle dimensioni prescelte su un adeguato pezzo di pane (comprimendolo quasi a spalmarlo leggermente per deglutirlo con il pane se è formaggio morbido che lo consente, o appoggiandolo solo se è formaggio solido: usando cioè il pane con la sinistra, secondo i casi, come cucchiaio o come boccone solidale, in base alla durezza del formaggio o al gradimento di associarlo o meno al sapore del pane).

In molti raffinati ristoranti francesi, si serve giustamente il formaggio con il coltello come unica posata. E i nostri cugini d’oltralpe, sulla valorizzazione dei loro prodotti, la sanno lunga.

Come Proust – mi si scusi l’esempio di genere maggiore – allergico al pelo di cavallo, aveva le crisi d’asma al vedere fotografie o quadri di cavalli, così su di me, all’inverso, parole o figure evocanti il prezioso cibo hanno un effetto favorevole. Nei formaggi forti – si sa – ci sono sostanze che attivano mediatori chimici endocranici sul versante antidepressivo. Con certi farmaci antidepressivi ora pressoché abbandonati, non si dovevano mangiare Camembert o formaggi piccanti, pena effetti collaterali da interazione. Sul mio umore, non so se su base chimica o psicologica, l’effetto euforizzante del pecorino o dei formaggi stagionati e buoni è molto netto. Durante un tragitto estivo per la Versilia attraverso la Cisa, a causa del gran traffico prendo, qualche anno fa, la statale in alternativa all’autostrada; ma anche la statale è ingombra, così imbocco una via più piccola, che passa per strade secondarie dell’Appennino. Sono di pessimo umore per il ritardo e le code, ma vedo un cartello indicatore di una località o frazione con un nome curioso chissà a cosa dovuto: "Pecorini". Mi basta: rido, sono preso da vera allegria e cambio stato d’animo fino all’arrivo.

 


Francesco Dallera

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