Limiti della Tecnologia

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La storia dei sintomi, l’esame fisico, le indagini di laboratorio e strumentali (radiografie, ecografie, endoscopie) forniscono al medico le informazioni che possono condurlo alla diagnosi. L’enorme importanza della storia dei sintomi (quali sono i disturbi avvertiti, da quando e a quali ore compaiono, dove sono localizzati e così via), quindi di un interrogatorio capace di evocarla con precisione al di là delle reticenze anche involontarie del paziente, è forse sconosciuta ai non medici: uno studio recente su un vasto numero di malati in Inghilterra indica che domande appropriate guidano il medico alla diagnosi, prima ancora di visitare il paziente, nel 75% dei casi. Gli esami di laboratorio, secondo gli autori dello studio, sarebbero determinanti solo nel 10% di casi. Le conclusioni in un’altra indagine simile sono: 56% di diagnosi dopo il colloquio, 17% con l’esame fisico, 18% con esami di laboratorio e strumentali mirati in base ai disturbi riferiti, 5% soltanto dopo esami "di routine", (quelli più comuni, che si fanno sempre). Naturalmente c’è una notevole variabilità in rapporto al tipo di branca specialistica e, soprattutto, in rapporto all’esperienza e alla preparazione del medico: meglio le domande sono indirizzate, più significative saranno le risposte; un medico ignorante, brancolando nel buio, non saprà guidare la ricerca e un computer decentemente impostato farà meglio di lui, sempre.

Tuttavia, emerge chiaro da questi studi il concetto che gli esami di laboratorio aiutano solo in un piccolo numero di casi, anche se oggi, in molte occasioni, si finisce col farli come rassicurante supporto e conferma e come garanzia medico-legale. Si deve anche considerare che i valori cosiddetti normali sono, in certo modo, arbitrari, perché calcolati su principi statistici, sulla base delle medie della popolazione: se un individuo sanissimo si sottopone a un’analisi, ha il 5% di probabilità di trovare il risultato anormale secondo i limiti convenuti, se fa 6 analisi (per esempio glicemia, azotemia, velocità di sedimentazione, esame emocromocitometrico, colesterolemia, esame delle urine), le probabilità che ci sia un risultato fuori norma salgono al 26%, se ne fa 20 al 64% e se facesse 50 esami, il nostro individuo, pur rimanendo - ricordiamolo - perfettamente sano, sarebbe quasi certo di avere qualche risultato fuori dalla norma (92% di probabilità). Il medico, anche sapendo tutto questo, oggi inclina a prescrivere esami eccessivi e superflui, non tanto per convinzione, quanto per pressioni dovute al contesto, paura di critiche e, come già detto, timori di implicazioni giuridiche in caso di errore o presunto errore. L’opinione pubblica dovrebbe conoscere più da vicino queste problematiche, affinché, in un contesto informato, siano più equilibrate e serene le decisioni dei medici e sia più concreta per tutti la consapevolezza che, se l’uomo sbaglia spesso, anche l’ausilio tecnologico ha i suoi limiti e non può sostituire il giudizio personale e critico.

Strada alternativa è quella, già intrapresa, della diagnosi informatica: affidare quantità di notizie all’elaborazione di computer, con gran lavoro preliminare di medici e matematici per l’istruzione della macchina e, ovviamente, costi e difficoltà ora improponibili se non in sedi particolari. E, comunque, un computer non ha cervello proprio, ma quello di chi lo ha informato, seppure con velocità e memoria enormemente aumentate (Kubrick ha immaginato il contrario in 2001 Odissea nello spazio, ma si trattava di un’invenzione artistica). In un romanzo di Asimov una guerra interplanetaria non finisce mai perché ad ogni mossa ne corrisponde un’altra suggerita da una tecnologia elettronico-informatica equivalente; finché un genio, nato in uno dei due pianeti, sposta gli equilibri risolvendo la guerra : sa fare le tabelline a memoria. Speriamo, fra qualche anno, di non dover considerare genio un medico capace di ascoltare chi gli si rivolge.

 


Francesco Dallera

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