Gianfranco Testagrossa pittore | |
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Testagrossa, che insiste molto sui significati simbolici delle sue rappresentazioni, propone, con i titoli, un tentativo di ulteriore chiarimento delle sue prove. Ma sui titoli non sono d’accordo, di solito rovinano il fascino di un’opera visiva invece di esaltarla o chiarirla: molti pittori di oggi, nello sforzo di illuminare e rendere più comprensibile il loro prodotto, cadono nell’ingenuità di un eccesso concettuale con titoli roboanti, retorici, inadeguati. Anche artisti consacrati e celebrati dalla storia sono finiti in questa trappola – la speranza di risolvere, con l’ausilio delle parole, ambiguità ed ermetismo impliciti nelle opere contemporanee – ottenendo l’effetto controproducente di impoverirne il fascino arcano. Solo Klee e, meno, De Chirico e il fratello Savinio, con l’espediente dell’ironia intelligente, hanno saputo rendere accettabili, o addirittura utili, titoli pretenziosi. Un discorso a parte si deve fare per Klimt, che sui titoli fondava le complesse simbologie e allegorie della sua arte, colta e ispirata. Altrimenti, meglio una piatta e sintetica descrizione come quelle di Picasso, Braque o Matisse, una semplice identificazione del quadro ("Homme au chapeu", "Nature mort au poir vert", o, al massimo, "Uomo appoggiato a un tavolo"), o niente del tutto. Sui titoli o su altro, a Testagrossa non cercate, però, di dare consigli: è permaloso, permalosissimo, lo fareste arrabbiare inutilmente, lo sentireste gridare. Descrivere i quadri con le parole è superfluo e vano; ma è una tentazione. Di Testagrossa è peculiare l’equilibrio fra stile grafico superbo (come disegnatore è straordinario, la sua sicurezza del tratto è di qualità rarissima e, come ho detto, mai scivola nel corrivo, nell’illustrativo o nel facile) e colorismo raffinato, maturo, tonale ma deciso e forte, con gusto sottile per l’antichizzato, che ottiene lavorando la superficie nello spessore e patinandola con mezzi misteriosi. Le cornici ideali per i suoi dipinti sono, per lo più, listelli magri, possibilmente vecchi o invecchiati, montati a filo su un telaio, che non schiaccino la pittura e non la disturbino con un’apparenza troppo nuova o con dimensioni e forme prevaricanti. I disegni su carta decisamente astratti possono invece, se su carta di piccolo formato, essere amplificati con larghi passepartout, in tonalità, magari in sovrapposizione bicolore, per dilatare lo spazio ipotetico che si presuppone e indovina intorno ai segni tracciati dall’artista. Eviterei, in ogni caso, cornici lucide o troppo moderne, che l’attualità della sua grafica potrebbe suggerire in un superficiale equivoco. Visitare lo studio di un pittore è necessario per comprenderlo meglio. Ho l’impressione che Testagrossa porti alle mostre solo i quadri che ritiene più accessibili a tutti, più orecchiabili. La sua produzione è complessa e poliedrica, con esperienze diverse nel tempo, ma tutte coerenti. Ci sono anche sculture molto belle, di terracotta colorata e patinata, con incisioni e pitture sulla superficie che appaiono come intarsi, alcune poggianti (sono piccole) su mattoni vecchi raccolti sul greto di fiumi, dunque smussati e levigati dalla corrente, in bella armonia tra piedistallo e pezzo sovrastante. Fa parte del folclore pseudocritico, sugli opuscoli elogiativi e sugli articoli gigioni delle riviste d’arte di versante frivolo-divulgativo, dire che lo studio di un pittore si presenta in un simpatico disordine. Visitate, però, quello di Testagrossa e lo troverete speciale: intanto per bellezza e numero dei lavori appesi o appoggiati nelle varie stanze che si intrecciano, senza spazi vuoti, catturandovi in un’ansia di guardare; poi perché il disordine qui è controllato ed elegante, non caotico, ma nemmeno lezioso, con l’arredo di qualche mobile ricercato, in una casualità autentica e naturale, in un affollamento gradito che non diventa confusione fastidiosa, come se l’infinità di quadri, sculture, disegni, secchielli pieni di gesso, pennelli, carte, supporti, tavoli piacevolmente ingombri, piani d’appoggio occupati, poltroncine, armadi, avessero trovato da soli il loro posto più adatto, con disinvoltura piuttosto che per obbligo sociale e disposizione convenuta. Dovete solo avere una precauzione: evitate di contraddirlo, perché rischiate di essere investito dalle sue veementi reazioni verbali, che vi prenderete anche se capisce male un complimento o non gli piace il modo in cui esprimete un elogio. Limitatevi ad ammirare e cercate di portargli vi a quadri a buon prezzo, approvando i suoi commenti con il capo, parlando pochissimo.
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Francesco Dallera |