Gianfranco Testagrossa pittore II cap.

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Trovandomi in sintonia estetica, condividendo emotivamente le sue scelte, mi è stato facile capire subito alcune delle preferenze, così come alcune delle idiosincrasie, di Gianfranco Testagrossa, e intuire le direzioni della sua ricerca, anche se, magari, non condivido certi atteggiamenti comportamentali.

Come supporto, per le sue pitture, ha abbandonato la tela, pur avendone eseguite di bellissime negli anni giovanili. Vuole qualcosa che ricordi un mezzo più immediato, più primitivo. Ama l’affresco, la pittura murale; però, per renderlo più pratico, lo ha trasferito su tavole maneggevoli, ibridando la tecnica e ottenendo il medesimo effetto con uno strato di gesso sottile e i colori acrilici e alla fine elaborando e graffiando la superficie. Ama sia il disegno che il colore, gli piace e sa usare magnificamente il chiaroscuro, mettendo insieme, in chiave attuale, i due cardini della capacità pittorica, come un artista rinascimentale. Proprio questo si dovrà prima o poi di nuovo richiedere a chi si cimenti nel settore della pittura, identificando e palesando la confusione e i bluff delle cosiddette avanguardie, che, accanto a effettive rivoluzioni che hanno cambiato il modo di guardare le cose (Cubismo, Espressionismo in prima posizione), hanno in altri casi coperto, con nomi e pretesti, innovazioni fasulle o ingenuità pretenziose. Testagrossa ha toccato, in diversi momenti, molti generi, dalla terracotta incisa ai collages ai ritagli con bisturi – di straordinario nitore e fascino grafico (bisogna vederli) – ha provato la tela, ma preferisce ora, da tempo, la tavola, più robusta e pratica e che si addice al suo personale affresco-graffito, ha cartoni disegnati con inimitabile e risoluto tratto giocato ora rettilineo ora curvilineo, quadri di atmosfera oscura, patinati e arcani e dipinti più recenti luminosissimi e chiari, sculture di varia dimensione, di stile inconfondibilmente personale pur nel mezzo espressivo diverso, tutto con mano fatata: non c’è, nelle sue creazioni, la minima sbavatura, niente di approssimativo, niente di ripetuto, niente che riveli intenzioni commerciali (cosa rara oggi). I suoi soggetti hanno una forte valenza simbolica, evocando a colpo d’occhio la storia dell’uomo e il suo percorso artistico, soprattutto quello degli anni inesplorati della preistoria o della storia lontana. Le sue figure richiamano immagini rupestri e, in altri casi, rappresentazioni egizie, figure di vasi antichi, l’arte greca ed etrusca, gli affreschi di Pompei, ma attraverso suggestioni impalpabili, non per richiami diretti ma tramite filtri della memoria e messaggi sottili: cavalli con cacciatori stilizzati armati di lunghe aste, guerrieri antichi che evocano Paolo Uccello (La battaglia di San Romano, con gli animali che si impennano, le lance rettilinee, le curve rotonde e corpose delle figure), tori mitologici, unicorni, Pegaso, centauri meravigliosi che rendono credibile il mito, pesci in armonia con l’ambiente, nudi primordiali, figure con torsioni di suprema eleganza e rigore estetico e il ricorrente Ermafrodito, portatore di sessualità ambigua, suo chiodo fisso. Anche la tecnica di antichizzare raschiando abilmente e con discrezione la superficie, incidendo i profili con forza e mano assoluta a formare linee rette e cerchi perfetti contribuisce a questa evocazione e al suo sapore simbolico; però si sposa nella magia dell’invenzione poetica con la modernità del segno e della composizione. I colori sono, secondo il soggetto, rossi variabili dal mattone all’infuocato al cardinalizio, azzurri-lapislazzulo, verdi marini, rosati di luce albeggiante, ocra aranciati di grande suggestione, grigi ferrigni, a volte con tocchi di oro o d’argento (sui pesciolini allegorici, per esempio). Il graffito imperioso e splendido, eseguito a fresco, a delineare i contorni delle figure, è caratteristica peculiare di Testagrossa e rivela il piano granuloso del supporto di faesite; può ricordare nei profili l’alternanza di curve e spigoli di Boccioni e Balla, ma, pur favorendo il senso del movimento, ha finalità e contesto del tutto diversi: con il Futurismo è solo epidermicamente collegato, senza relazione estetica, anzi, sotto il profilo estetico, assai più piacevole ed euritmico. L’effetto che viene dall’accostamento del segno grafico con il chiaroscuro, è una delle meraviglie oltre che elemento identificativo della sua pittura. Spesso costruisce l’impressione di un prezioso ricamo, combinato euritmicamente fra linee incise, colore, "grattage" della superficie. Dopo le fantasiose figurazioni e le astrazioni primigenie, le ultime opere – disegni bellissimi e dipinti di cromatismo misterioso – si propongono di evocare la costruzione di figure umane elementari, quasi un ripristino del primo cammino artistico preistorico. Sul sottofondo di acrilico su gesso, informale e grattato, si inseriscono curve e cerchi incisi come con un compasso e compaiono particolari decorativi cesellati con la maestria di un orafo.

Orgoglioso della sua autonomia e timoroso di essere mercificato da un sistema che valorizza gli artisti mentre li sfrutta e spreme e che, per elevarne la quotazione, deve umiliarli e condizionarne la produzione, è cauto con i mercanti, pur sperando di incontrare quello risolutore, che lo sappia comprendere e gli risolva i problemi pratici senza imporgli nulla, la sua Guggenheim o il suo Leo Castelli europeo. Per gli stessi motivi, dubita delle reti di vendita televisive. Se siete in confidenza e glielo proponete, vi attacca, diventa aggressivo, quasi isterico, come se voleste corromperlo. La sua idealizzazione dell’Arte, pur lucida e senza ingenuità, è mobilissima e ammirevole, ma in alcuni casi il personaggio è spigoloso, intrattabile, nevrotico e forse la sua vita difficile accentua questa tensione, come succede spesso ai grandi artisti che non si sentono del tutto compresi..

La qualità è sempre alta: ogni opera è ispirata, uno slancio di fantasia. Non vedo, fra gli artisti in attività, chi sia di livello superiore al suo: superiamo ogni timore reverenziale e, andando senza ordine, consideriamo pure i più celebri e affermati per critica e mercato tra quelli degli ultimi decenni. Fernandez Arman è rappresentato in tutti i musei, costa solo qualche decina di migliaia di euro (!), è un affarone; ma voi avreste davvero piacere a guardare le sue accumulazioni di pennelli o di tubetti, o i suoi strumenti musicali (spezzati, perché siano artistici), una volta che li avrete appesi nel vostro salotto o nella vostra galleria? E Penck? E Baselitz, che dipinge soggetti rovesciati? Grande trovata, sa dipingere, ma non vi pare monotono nel rifiuto della convenzione, non cade nel conformismo dell’anticonformismo? E poi, in tutta sincerità, vi piace davvero o non vi disturberebbe vedere perennemente figure al contrario? O forse preferite i neon e le installazioni, i video, i laser da centinaia di migliaia di dollari? Queste sono le alternative up-to-date, oggi.

Schnabel? Kiefer? Certo hanno cultura e capacità propositiva, sanno dare supporto teorico alla loro arte; ma l’esito? Quando li guardate, ne siete conquistati? E i neo-astrattisti americani, gli ultimi? Qualcuno di loro è entusiasmante? Non mi sembra. Certo mi sembrano più solidi e suggestivi gli astrattisti della generazione prima, Pollock, Rothko, Motherwell, De Kooning. E la Transavanguardia italiana? Chia, il parente acquisito entrato nella famiglia più importante d’Italia, che assegna alle opere titoli concettuali, ridicoli sotto la crosta (mal comune dei titoli)? Clemente, che affonda volentieri nell’osceno sgradevole, senza nemmeno la giustificazione umoristica? Paladino, vero pittore ma così alterno, con puntate nell’elaborazione extrapittorica e cadute di gusto profonde? Cucchi, che dice di essere influenzato da Licini, perché è suo conterraneo? O De Maria, che sembra un bambino sgraziato che copia Paul Klee, aggiungendo solo bruttezza e banalità capricciosa? La loro ricerca? Per carità. Mimmo Rotella ha strappato manifesti, attraendo l’inclito e il pubblico con la scelta dei soggetti: Marilyn Monroe, sempre accattivante su una parete, e film western, altro soggetto che suscita simpatia.

Francamente mi sembra una serie di montature, di pensate commerciali ben sorrette da un sontuoso e impudico apparato critico. "Lavorano sul brutto"(o sullo scontato rivisitato), con stravaganza gratuita. Una parte della critica di oggi, utilizzando un linguaggio ermetico, sembra determinata a prendere in giro gli ignari, che, abbindolati dalla sfrontatezza e confusi dalla difficoltà di lettura dell’Arte Contemporanea, cadono nella trappola, mentre i non ignari con qualche autorità preferiscono tacere e lasciar fare anziché andare controcorrente.

Non voglio dar l’impressione di rifiutare tutto, esistono valori, anche in Italia. Celiberti è notevole e merita di affermarsi, anche se sta cedendo ultimamente alla reiterazione colorata. Forgioli vale sotto tutti gli aspetti, è degno del massimo successo. Mi piace Rognoni, nella sua resa figurativa semplificata ma lirica dello stile di Klee. Mi piacciono anche il veneto Gianquinto con le sue figurazioni che tendono al disfacimento, e Mattioli, spesso originale e poetico, se escludiamo gli alberi frondosi che si ripetono. Adami e Tadini sono eccellenti, corretti, colti e rispettabili, però di genere freddo, intellettuale piuttosto che sentimentale: non toccano il cuore. Guardare una loro opera dà scarsa emozione, piuttosto le vedo come eleganti illustrazioni.

Ammetto, mi sono fossilizzato, preferisco i quadri dipinti con i colori, i pennelli o le spatole alle installazioni che occupano una stanza e magari comprendono una vera tazza da gabinetto come essenziale alla composizione. C’è un limite di età oltre il quale non si assorbono le novità. Francamente, però, non capisco l’acquisto di una "Merda d’artista", visto che lo scopo di Piero Manzoni era proprio provocare e dissacrare dell’Arte Contemporanea nei suoi sviluppi estremi. L’acquisto vuol dire dunque riconoscersi cretini? O ravvisare che, oggi, come prodotto artistico, non si può avere altro che la negazione dello stesso?

Testagrossa, come del resto tanti pittori anche super-consacrati, è difettoso e pretenzioso nei titoli: anche se – bisogna ammetterlo – qualche volta aiutano veramente nella comprensione dell’idea ispiratrice, scomodare parole come "umanità", "armonia", "natura","atemporalità", guasta la suggestione visiva con la prosaica descrizione di un concetto. Occorre fingere che non ci siano titoli, non guardiamo il retro della tavola dove sono scritti in corsivo disinvolto, limitarsi a sentire il magico della visione. Chi non vede il magico della sua arte, è come chi, fortunato osservatore delle opere di Modigliani quando proponeva i disegni nei caffé, ne restava indifferente.

Ragioniamo pure per esclusione: chi è meglio di Testagrossa, oggi?

 


Francesco Dallera

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