Gianfranco Testagrossa pittore III cap. | |
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Ancora qualche dettaglio..
Non
sono i soggetti in sé, è la resa poetica a trasformare in Arte un’immagine.
Certo, i cavalli alati, i Minotauri, Centauri,
Unicorni di Testagrossa hanno il soffio della
magia, rendono il mito infantile credibile. I suoi guerrieri primitivi,
cavalli, tori, cacciatori hanno il fremito di figure antiche rivissute da un
artista che usa le tecniche e le esperienze di ieri e di oggi, il gesso,
l’affresco adattato al supporto e il graffito, la tavola di masonite e
l’acrilico, la carta e il cartoncino di qualità ricercata, il collage e un
personale decoupage con il bisturi di notevole
suggestione. Non mancano, fra i soggetti, le Sirene e i Tritoni, che hanno
sempre un invincibile fascino poetico per chi ama il mare e il mito. Gianfranco
Testagrossa è versatile: lui, che ha così care le
sue figure tradizionali, il suo mondo mitologico sentimentale, cammina con
disinvoltura e incisività anche al di là della figurazione riconoscibile. Gli
affascinanti dipinti e disegni degli anni settanta già comprendevano un
doppio filone, quello più figurativo e quello più segnico,
astratto-informale con riferimenti vaghi a ricordi di figurazione. Nelle
ultime opere su carta (carta "paglia", quella gialla da macellaio,
oppure carta da computer perforata), ma anche in diversi recenti acrilici su
tavola, affiancandoli a soggetti classici, che continua in parallelo, si
dedica all’astrazione pura, con profili di assoluta energia, da puro
disegnatore, secondo un’ispirazione movimentata e lirica, che sembra (lui
stesso lo suggerisce) ricercare il percorso a ritroso dei primordi della
scrittura e della rappresentazione visiva. Le curve e le linee rette non
suggeriscono geometrie ma segni propulsivi, allusivi di figurazioni oniriche
di bellezza archetipica. Sono animali primitivi, dinosauri bambini, esseri cavernicoli
organici, soggetti bifronti come Giano, forse evocativi dell’Età dell’Oro e
altri simboli affidati alla fantasia interpretativa di chi li guarda. Testagrossa fonde con talento sempre vitale lo
spontaneismo e la vitalità istintiva tipica dell’arte contemporanea, con
l’equilibrio della tradizione: non è mai scomposto anche quando ricerca
sottili asimmetrie. Entrare nel suo studio, benissimo arredato, in modo
apparentemente casuale, pieno di cose varie oltre che di suoi dipinti,
disegni, sculture, incisioni, decoupages, bottiglie
ricoperte da figure mitologiche come vasi greci, appesi e appoggiati in una
specie di euritmico horror vacui, è un grande piacere, non può lasciare
indifferente un amante dell’Arte, fa sentire la grandezza del personaggio, induce
a riverenza. Non
considerate i titoli, inutili o pretenziosi (Frescograffito,
Armonia, Natura, Atemporale sono ricorrenti scritte in corsivo sul retro
delle tavole): come per molti pittori di oggi, il tentativo di spiegare col
titolo il significato del dipinto e il rapporto con il motivo ispiratore prosaicizza la poesia. Testagrossa
si giustifica dicendo che il titolo viene richiesto dall’osservatore, dal
fruitore dell’opera, che lui ne farebbe a meno; e si può riconoscere che in
alcuni casi sia un vero aiuto alla comprensione dello spunto alla base
dell’opera. Come cattivo titolatore, comunque, è in
buona compagnia: Futuristi, Spazialisti, Transavanguardia, Bad Painting, Arte Povera hanno fatto il possibile per dare
titoli ridicoli alle opere. Il vizio è particolarmente accentuato e frequente
fra gli Italiani, che sembrano avere particolare attaccamento alla retorica
in genere. Basta non tenerne conto. Guardare e non leggere il retro Gianfranco
Testagrossa è una curiosa e ammirevole combinazione
di mente lucidissima e visionaria: sensibile, idealista, non accetta le
brutture del mondo e pensa di avere una valvola di uscita solo con la
creazione artistica. La sua fiducia disperata nella creatività come catarsi
dalle imposture e dalle ruffianerie del contesto sociale e umano è quello che
lo salva e lo fa vivere, pur fra le mille difficoltà pratiche che lo
attanagliano. Però, ostinatamente rifiuta di considerare quei compromessi,
comuni ormai nel mondo commerciale, che potrebbero favorirgli il successo pubblico
e risolvergli alcuni problemi, ma che, secondo lui, rischiano di limitare o
sconvolgere la purezza della sua ispirazione. Trovare individualmente gli
estimatori e i compratori gli è naturalmente faticoso, ma non vuole sentir
parlare di televendite e sui mercanti e sui critici è molto cauto, li guarda
con sospetto, sapendo quanto sia inquinata e interessata la critica nella sua
parte più influente. I pittori cui si riferisce come esempi etici sono Cèzanne, Modigliani, Van Gogh, Gauguin, che, o per la fortuna
di avere mezzi propri o per scelta eroica, nella rinuncia o nella
stravaganza, o sul filo della schizofrenia peggiorata dall’incomprensione, si
sono ritratti dalle finzioni che potevano turbare il loro sogno artistico. Di
loro, senza enfasi, in un appassionato, sincero sentimento missionario, si
ritiene solenne continuatore almeno sul piano morale. Conoscendolo, non si
può che esserne commossi e condividere le sue speranze. Per la qualità della
sua arte, personalmente le considero del tutto giustificate.
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Francesco Dallera |